L’antipatico signor Covid, che ancora tanto influenza le nostre vite, alcune cose buone, a ben vedere, le ha sapute fare.
Fra queste quella di metterci davanti ai nostri limiti che a volte fingiamo di non vedere.
Abbiamo passato mesi a programmare la nostra vita per settimane,
rimandando decisioni, scelte, propositi. Abbiamo visto quanto i nostri
desideri debbano fare i conti con l’imprevisto e i temi grandi della
vita: il dolore, la malattia, il lutto.
E nel cuore dell’estate, all’inizio della fine di questo curioso
tempo di riposo segnato dalla pandemia, la Chiesa ci invita ancora ad
alzare lo sguardo, ad andare oltre, a sognare, a non contare i nostri
giorni sulle dita di una mano.
A osare il futuro.
A gridare la speranza.
A costruire la cattedrale gotica del Regno scalpellando la mia pietra.
E lo fa affidandoci a colei che, più di ogni altro discepolo, più di
ogni credente di ogni luogo e di ogni tempo, contro ogni evidenza, è
stata la madre della speranza, la custode del futuro, la madre stessa di
Dio.
Maria di Nazareth.
La danzatrice di Dio.
Dormitio
È una festa antichissima che affonda le sue radici nella primitiva comunità cristiana.
Perciò facciamo così fatica a descriverla.
Noi crediamo che Maria di Nazareth, la madre di Gesù, la prima dei
discepoli, che ha allevato il Figlio di Dio ed è stata presente alla
croce e nella comunità radunata a Pentecoste, è stata assunta in cielo,
presso il Padre, in corpo e anima.
Detto questo, cala il silenzio: come, dove, quando, in che senso, non c’è dato di sapere.
La tradizione cristiana parla di questa come la festa della Dormitio Mariae,
l’addormentamento di Maria nelle braccia del Padre. Come ci fa pregare
splendidamente il prefazio di oggi, prima del canto del Sanctus: «Non poteva conoscere la corruzione della morte, colei che aveva portato in grembo il Dio della vita».
E lo credo di lei e per me. Non riesco ad immaginare la mia vita se
non fra i viventi e risorti, ora che il Vivente e il Risorto mi ha fatto
innamorare della vita, la mia vita. Non so come accadrà ma non dubito:
sento che preme forte in me l’immortalità, e più amo e mi lascio amare,
più abbandono le mille resistenze e le mille obiezioni che mi
impediscono di vedere.
Maria è la prima fra i risorti, la prima fra i credenti che vivono nella pienezza.
Visite
È Elisabetta a parlare nel Vangelo che abbiamo letto.
Come hai fatto a credere Maria? Benedetta colei che ha creduto. Beata te che hai creduto!
È il più bel complimento mai reso alla Madre di Dio.
Beata colei che ha creduto.
Maria è beata perché ha creduto. Perché si è fidata, perché ha
lasciato spazio a Dio, ha lasciato che potesse agire nella sua vita, ha
lasciato fare.
La gioia è contagiosa, lo sappiamo bene.
Zaccaria e Giuseppe in fondo al cortile, guardano divertiti la scena
che si svolge sotto i loro occhi. Li immagino anche benevolmente
invidiosi.
Sono cose fra donne e noi uomini, giustamente, non possiamo che assistere.
Sono cose riservate alle madri e noi maschi, correttamente, dobbiamo
ammettere la nostra estraneità al miracolo della gestazione.
Trovo bellissima questa scena, fatta la tara al tributo poetico di san Luca.
La trovo così autentica, così credibile!
È il nostro sguardo che decide cosa mettere in evidenza, cosa rimarcare, cosa portare in primo piano.
Maria ed Elisabetta vedono il positivo e lo sottolineano.
Eppure, il loro, non è un momento così bello!
Siamo sinceri: Elisabetta sa bene che avere un figlio alla sua età
comporta un sacco di problemi. Suo marito, poi, le ha raccontato che
l’angelo ha parlato del bambino come di un futuro profeta e i profeti,
lo sappiamo bene, non hanno vita facile.
Nonostante ciò, invece di essere divorata dall’ansia, gioisce con tutto il suo cuore.
Maria sa che il figlio che avrà diventerà il segno di speranza per
l’umanità. L’angelo ha parlato di un rapporto speciale con Dio che avrà.
Ma la vita di Maria non si presenta certo in discesa e il futuro è
incerto. Ma, invece di crogiolarsi nell’apprensione, vede la
realizzazione della promessa di Dio fatta ad Israele.
Si danza!
Cantano e danzano.
E il canto di Maria è diventata una preghiera che contagia anche noi.
Da duemila anni questa preghiera è il saluto dei discepoli al
tramonto del sole, un modo per rileggere la giornata alla luce della
salvezza. E per chiudere il giorno nella gioia, non nella tristezza, per
sottolineare, ogni giorno, ciò che di positivo abbiamo vissuto.
Maria ci insegna a porre la nostra vita in un progetto, in un disegno gigantesco, nel sogno di Dio.
In altro dalle mie piccole (e legittime) soddisfazioni.
La mia vita è a servizio del grande disegno, della grande salvezza.
Se poi le mie vicende personali non mi soddisfano appieno, pazienza.
La mia vita si realizza solo se va nella giusta direzione. Solo se fa parte della vita di Dio.
Maria mi insegna a fare della mia vita un capolavoro nelle mani di Dio.
A non giudicare il successo di una vita con i criteri discutibili che ci impone il nostro mondo.
Posso avere una vita marginale, mediocre, agli occhi del mondo. E non
avere realizzato nessuno dei sogni che avrei potuto realizzare. Posso
aver dovuto fare i conti con un grave handicap o con vicende inattese e dolorose. Posso anche sentirmi un fallito ed esserlo, alla fine dei conti.
Maria, invece, ci insegna che ogni vita è preziosa in Dio.
E anche il più insignificante dei tasselli è fondamentale nella realizzazione del grande mosaico.
Leviamo lo sguardo. E danziamo.