La forza della paura
Quando davanti a noi ci sono i segni della morte è difficile sperare
nella risurrezione. Quando attraversiamo il tempo dell’ingiustizia e del
dolore innocente, il tempo della sofferenza gratuita e
dell’oppressione, è difficile continuare a sperare e ad avere fiducia.
Tutto sembra finito. È il tempo del buio.
Così, quando Gesù parla della sua passione, i discepoli si
concentrano su quell’orizzonte di morte. Quella parola risuona nel loro
cuore con più forza della promessa della risurrezione. Anche nella
nostra vita, quando attraversiamo momenti difficili, siamo più inclini a
dare spazio alla tristezza e allo sconforto e facciamo fatica a
rimanere fermi nella certezza che Dio non ci abbandona.
La sofferenza del giusto
Il tempo del buio, come viene descritto dal libro della Sapienza,
nella prima lettura di questa domenica, è spesso il tempo
dell’ingiustizia, quello in cui il giusto è messo alla prova: quante
volte ci siamo ritrovati a pensare che sono proprio i buoni a essere
spesso trattati male dalla vita e dagli altri? Quante volte ci siamo
ritrovati a pensare che, al contrario, quelli che sono spregiudicati,
violenti e cattivi sembrano avere sempre la meglio?
Il testo della Sapienza descrive con sorprendente realismo i
tratti della cattiveria umana: il giusto è messo alla prova solo perché
con il suo comportamento infastidisce, ricorda infatti al cattivo come
dovrebbe essere, come si può essere migliori. Quando il cattivo non ci
riesce, allora pensa di risolvere il problema eliminando chi gli fa da
specchio.
In questo brano il cattivo è anche il potente, colui che ha il potere
di fare del male. Anzi, questo male lo commette solo per il gusto
sadico di vedere fin dove il giusto resiste. La storia ci ha insegnato
purtroppo come si può diventare disumani!
La solitudine di Gesù
Se abbiamo nella mente questo testo del libro della Sapienza,
il passo del Vangelo di Marco ci fa percepire ancora di più tutto il
dolore di Gesù. Gesù prova infatti a condividere con i discepoli, cioè
con i suoi amici, con le persone che gli stavano più vicino, il suo
dolore. Eppure, i discepoli, invece di esprimere la loro compassione,
rivelano tutta la loro distanza: il loro cuore è da un’altra parte,
rigettando il Maestro nella sua più profonda solitudine.
Il testo di Marco dice infatti che la reazione dei discepoli davanti
alla sofferenza di Gesù è quella di discutere tra loro su chi fosse il
più grande. Si tratta di una vera e propria disputa, come mette in
evidenza il verbo usato da Marco: è il verbo della dialettica, dell’arte
di presentare ragioni convincenti per vincere nella discussione!
Nel momento in cui il Maestro sta condividendo il suo dolore per una
morte imminente, i discepoli cominciano a pensare chi potrà sostituirlo!
La disumanità si esprime in tanti modi: i discepoli cercano di
dimostrare tra loro chi è il più abile per candidarsi alla sostituzione
del Maestro, che di lì a poco potrebbe essere fatto fuori.
La scuola della competizione
Non ci meravigliamo, non è un atteggiamento insolito. Tutti noi
frequentiamo e conosciamo ambienti dove la dinamica fondamentale è
quella della competizione. In molti luoghi si sgomita e si diffama
l’altro solo per avere più spazio per emergere.
Del resto siamo stati abituati fin da piccoli a questa competizione:
fin dai primi anni di scuola ci hanno fatto credere che l’obiettivo
della vita sia quello di emergere sugli altri. Abbiamo imparato a
mettere in atto strategie per eliminare i potenziali avversari. Ci siamo
nutriti di gelosie, di invidie, di critiche, quando i migliori non
eravamo noi.
E così siamo cresciuti nella convinzione demoniaca che l’altro è un
avversario da eliminare: molte nostre interazioni si fondano su questo
obiettivo. Per emergere, dobbiamo distruggere. Dobbiamo emergere,
altrimenti non valiamo niente.
È la convinzione che Satana instilla dentro di noi affinché gli
esseri umani si distruggano a vicenda, facendo essi stessi il lavoro
sporco. Entriamo così in una voragine di competizione che in realtà ci
lascia sempre vuoti, non ci soddisfa mai, creando al contrario dentro di
noi un atteggiamento sempre più brutale nei confronti degli altri.
Lasciarsi abbracciare
Davanti a questo comportamento dei discepoli, Gesù non chiede
compassione per sé, non reclama attenzione, ma coglie l’occasione per
insegnare al contrario quale sia il vero senso della vita: prende un
bambino e lo abbraccia!
Il bambino è una persona disarmata, inerme, debole. Non può fare
grandi cose, ma può lasciarsi abbracciare. Lo scopo della vita allora
non è conquistare spazi, ma lasciarsi abbracciare da Dio, riconoscendo
la propria piccolezza. In genere, infatti, chi non riconosce la propria
fragilità, non si lascia neanche abbracciare da Dio. Vogliano tutti
essere grandi, adulti, sicuri di noi, e piano piano allontaniamo Dio
dalla nostra vita.
Ma quel bambino rappresenta anche tutti quelli che stanno intorno a
noi e che di solito vediamo come avversari: in realtà, a ben guardare,
scopriremo che sono tutti bambini da accogliere. Sappiamo bene oggi che
dietro un adulto violento e aggressivo c’è un bambino che non è stato
abbracciato.
Gesù ci invita a cambiare lo sguardo su di noi e sugli altri. Ci
chiede di non essere in competizione con noi stessi, ma soprattutto di
non vedere l’altro come l’avversario da eliminare: questo è un pensiero
demoniaco! L’altro, dice Gesù, è un bambino da accogliere.