Ho bestemmiato. (Silenzio)
. Mi dica, Reverendo, come si
fa a non bestemmiare, quando i figli, la sera, non vogliono più dire il
Rosario e la domenica non vogliono più andare a Messa?
E queste le paiono buone ragioni per bestemmiare?
No, certo. Ma io non so più che cosa fare con i figli. Non
vogliono più andare in chiesa. Hanno le mani bucate. Spendono tutto
quello che guadagnano. Se gli fai l’osservazione, rispondono che son
giovani e che si è giovani una volta sola. Sono dei lazzaroni; ecco che
cosa sono!
Ma, scusi: lei è qui per confessare i suoi peccati o quelli dei suoi figli?
Certo, certo! Ma io, a parte le bestemmie come le ho detto, non credo di avere altro da dire.
Davvero? È proprio sicuro? Lei vuol bene al Signore?
Padre, io non ho mai voluto male a nessuno. Vuole che non voglia bene proprio al Signore?
Ma gli vuole bene con tutta l’anima, con tutto il cuore, con tutte le
sue forze, con tutto se stesso? Io, se devo parlare per me, devo
riconoscere che amo il Signore sì, ma sono lontano dal poter dire che
nella mia vita non c’è niente prima di lui.
Quello è vero anche per me. Ma come si fa ad arrivare ad amare Dio così come dice lei?
Come dice Gesù, non come dico io. Noi siamo cristiani. Ebbene, a
quelli che vogliono essere cristiani non solo di nome, ma di fatto, S.
Paolo dice che devono arrivare ad «avere gli stessi sentimenti di Gesù
Cristo», sia verso Dio, sia verso il prossimo. Lei pensa di poter dire
di avere gli stessi sentimenti di Gesù?
Per carità! Non se ne parla neanche.
Ecco, il peccato vero è quello. E quando si viene a confessarsi,
basterebbe riconoscere questo: che siamo lontani, lontanissimi,
dall’assomigliare a Gesù.
E allora gli altri peccati non li devo più dire in confessione?
Non ci sono altri peccati. Quelli che noi chiamiamo “gli altri
peccati” son solo delle specificazioni dei due soli peccati che
facciamo, quello di non amare Dio con tutta l’anima e quello di non
amare il prossimo come lo amava Gesù. Lei potrebbe confessarsi così: Io
non amo il Signore sopra ogni cosa, perché per esempio… E lì fa alcuni
esempi. Poi dice: io non amo il prossimo come lo amava Gesù, perché, per
esempio, non perdono come Gesù, non condivido in tutto come Gesù, ecc.
ecc.
Ma noi non ci arriveremo mai. Per quanti sforzi facciamo…
È vero. Alla fine della vita saremo lì ancora a dire “Signore,
pietà”, perché non saremo arrivati all’ideale, ma nel frattempo saremo
cresciuti nella somiglianza del Signore. Se invece ci sentiamo a posto
solo per il fatto che non abbiam rubato e non abbiamo ucciso, moriremo
nella nostra mediocrità.
Un’ultima cosa, padre: io sono un uomo di Chiesa, ma in fondo al
cuore da tempo mi sto domandando: perché bisogna confessarsi da un
prete, da un uomo come me, che forse – mi scusi – ma potrebbe anche
essere più peccatore di me? Perché non basta confessarsi davanti a Dio?
Nella nostra fede, se ci fa caso, non basta il pensiero. Dio stesso,
per farci vedere e constatare il suo amore ci ha mandato Gesù Cristo in
carne e ossa. Gesù, a sua volta, prima di tornare al cielo, ha detto ai
suoi apostoli: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi».
Per noi la remissione dei peccati passa in modo visibile e constatabile attraverso la comunità.
È chiaro che il pentimento interiore è fondamentale, ma è indispensabile
che questo si esprima con i gesti concreti e significativi
(sacramentali) della confessione. Se no, lei me lo insegna, il rischio
dell’autoassoluzione è forte. E l’autoassoluzione evidentemente è troppo
comoda ed è quindi improduttiva, non porta a niente di nuovo.
Ha proprio ragione. Anche nei rapporti tra di noi è così. Quando
io tratto male mia moglie, non basta che mi penta dentro. È necessario, è
giusto, è naturale che le manifesti visibilmente di essere pentito e
nello stesso tempo ho bisogno che lei mi dia dei segni comprensibili del
suo perdono.
Proprio così.