La parabola è una forma
caratteristica del discorso di Gesù, con tratti originali suoi propri
anche rispetto al genere narrativo omonimo, e che costituisce
addirittura un “unicum” nella letteratura di tutti i tempi. Essa serve
per esprimere, mediante situazioni comuni, contenuti e realtà spirituali
e soprannaturali e in genere ha per oggetto il regno di Dio.
Il testo di oggi, che è proprio di Matteo, inizia infatti con le parole “Il regno dei cieli (che nel primo vangelo equivale a il “regno di Dio”) è simile a un padrone di casa che uscì all’alba (cioè alle 6 di mattina)” ………..
Anche l’ambientazione,
come sempre nelle parabole, è quanto mai realistica e veritiera: abbiamo
la situazione di un proprietario terriero, la presenza di disoccupati,
l’ingaggio e il salario a giornata.
Ma nello stesso tempo
ci sono delle inverosimiglianze, anch’esse frequenti nelle parabole: le
cinque “uscite” del padrone a diverse ore del giorno, soprattutto quella
delle cinque del pomeriggio (l’”undicesima ora” delle 12 in cui
consisteva la giornata lavorativa), l’ingaggio nel pomeriggio per poche
ore di lavoro, il modo quanto meno insolito e decisamente inaspettato di
assegnare la paga…. anzi, diciamo pure sconcertante e “ingiusto” dal
punto di vista umano!
Infatti il padrone, che
ha fatto lavorare gli operai ingaggiati in misura diversa, al termine
della giornata ordina al fattore: “Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”;
agli ultimi viene dato un denaro ciascuno, la stessa cifra che il
proprietario aveva pattuito con i primi; questi, vedendo ciò, pensano
di ricevere di più, in considerazione del maggior lavoro svolto, ma la
paga è la stessa e alle loro mormorazioni il padrone risponde con tre
argomentazioni: a) non sottrae loro nulla, perché essi ricevono quanto
pattuito; b) è lui il padrone e dunque egli è libero di essere generoso
quanto vuole c) “Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”(v.15)
Come si vede, da un
lato la parabola facilita la comprensione del regno mediante alcune
evidenti analogie (qui il padrone è Dio e la vigna il suo regno), ma
dall’altro mette in luce criteri di giudizio e di comportamento
assolutamente nuovi e insoliti, qui soprattutto il concetto di
“giustizia”, che non coincide affatto con quello umano, anzi lo
travalica completamente: il padrone non applica il nostro criterio
quantitativo di retribuzione corrispondente all’opera svolta (tanto ho
lavorato, tanto ricevo), ma va ben oltre nella sua generosità. Il brano
si conclude poi con un “paradosso”, cioè una frase in contrasto con il
modo comune di pensare, probabilmente aggiunta dall’evangelista: “così gli ultimi saranno primi, e i primi gli ultimi” (v.16)
Tra l’altro la stessa
frase viene pronunciata da Gesù al termine dell’episodio precedente (Mt.
19, 30) e dunque fa “inclusione”, cioè delimita intenzionalmente la
parabola, richiamando la nostra attenzione sul significato della frase
stessa.
Cerchiamo
allora di cogliere il messaggio che emerge dalla “punta” della
parabola, cioè da quella parte su cui, come accade per un quadro, è
soprattutto attirata l’attenzione dell’ascoltatore: la strana
“giustizia” di Dio e soprattutto la terza risposta ai lavoratori.
Le parabole vanno
sempre interpretate a tre livelli: il piano storico del tempo di Gesù,
nel momento in cui egli ha effettivamente narrato l’episodio fittizio;
il livello della Chiesa primitiva, quando spesso il testo viene adattato
alla situazione della comunità; la perenne attualizzazione che viene
fatta dalla Chiesa in ogni tempo in cui il brano evangelico viene
riletto, annunciato e vissuto.
Ora, a al livello
storico di Gesù la parabola trascrive sul piano simbolico una situazione
conflittuale creatasi tra lui e i farisei, perché Gesù, in tutto il
corso della sua missione, ha chiaramente mostrato la sua preferenza per
quelli che non contano sul piano religioso – i peccatori, il popolo
ignorante, gli “anawim” –
suscitando le aspre critiche di coloro che invece si ritengono “eletti”,
superiori agli altri, i ”primi”, perché osservano minuziosamente la
Legge.
Non dimentichiamo che
un denaro, oltre che rappresentare la paga media di un bracciante, era
anche la somma minima necessaria per vivere; dunque il padrone della
vigna vuole che ciascun lavoratore abbia il necessario per vivere (il
pane quotidiano), indipendentemente dai suoi meriti. Cioè: la
preoccupazione del viticoltore-Dio non è la giustizia retributiva, ma la
misericordia, l’amore, il desiderio di bene per ognuno; anche perché
egli non teme alcuna diminuzione delle sue sostanze: la sovrabbondanza
della sua ricchezza-amore è infinita ed è destinata a tutti, è
universale. Sono i “primi”, i lavoratori della “prima ora”, le 6 del
mattino, che non hanno capito la logica del padrone-Dio; restano schiavi
della loro meschineria e non sanno vedere la gratuità che raggiunge
tutti, pur non facendo torto a nessuno.
Al livello delle prime
comunità cristiane, soprattutto nel contesto prevalentemente
giudeo-cristiano di Matteo, con “ultimi” si intende chiaramente i
pagani, cioè gli ultimi, in ordine di tempo, chiamati al regno di Dio,
che a un certo punto prendono il posto del “primo” chiamato, Israele,
che non ha compreso il Messia. E “ultimi” sono anche coloro che nella
comunità sono considerati i più piccoli tra i fratelli, i semplici, i
poveri, gli ignoranti.
Infine, attualizzando
il testo per il nostro tempo, possiamo ricordare il ragionamento di
tanti: “Ecco, io fin da piccolo sono stato osservante e praticante.
Quello lì, che ha fatto i suoi comodi per tutta la vita, si pente
all’ultimo momento, viene perdonato ed ha la stessa mia ricompensa: il
Paradiso. E’ giusto questo?”. Certo, è giusto nella logica di Dio,
diversa dalla nostra, ma uguale a quella di un padre o di una madre, che
non aspettano altro che il ritorno del figlio traviato; e quando questi
si ravvede, gioiscono infinitamente, facendo gran festa e mettendolo a
parte dei loro beni tanto quanto gli altri figli che magari vi hanno
contribuito con il loro lavoro.
Non può essere che
gretto e meschino il ragionamento di cui sopra, perché c’è comunque una
bella differenza tra l’essere in dialogo e comunione con Dio fin
dall’inizio della propria vita cosciente ed arrivarci all’ultimo
momento: si perde molto purtroppo!, e poi si corre il rischio di essere
raggiunti dall’esito fatale prima di fare in tempo a convertirsi. E
ancora: siamo sicuri che il gaudente in questione fosse veramente felice
e appagato? Che ne sappiamo noi di quello che è passato nel suo animo?
Chi
ha conosciuto e goduto dell’amore straordinario e pacificante di Dio
per tanto tempo non può che rallegrarsi che un suo fratello vi giunga,
pur se in extremis, e partecipi egli pure della gioia ineffabile
dell’essere figli immensamente amati da Dio Padre.
Il vangelo in poche parole