La pericope evangelica
fa parte del cosiddetto “Vangelo dell’infanzia”, i due capitoli che Luca
(come Matteo) dedica alla nascita di Gesù. L’evangelista presenta la
famiglia di Nazareth ben inserita nel Giudaismo del tempo, ossequiente
alle prescrizioni della Legge: circoncisione, purificazione della
puerpera, sacrificio rituale, offerta del primogenito, pellegrinaggio al
Tempio.
Proprio
nel contesto di questi adempimenti, nell’ambito sacro del Tempio di
Gerusalemme, a sottolineare la continuità fra primo e secondo patto,
Luca presenta due personaggi, Simeone e Anna, che insieme rendono
testimonianza al compimento delle Scritture e profetizzano sul Bambino.
La
struttura del brano distingue chiaramente i due episodi, incorniciati
fra una breve introduzione (vv.22-24) e una conclusione (vv.39-40), che
suggella tutto l’insieme dei racconti relativi alla nascita di Gesù.
La
Legge di Mosè prevede la purificazione della puerpera (cfr.Levitico
12,2-8); Luca parla al plurale, come se la purificazione riguardasse
anche Gesù, o forse per estenderla all’intero popolo di Israele, di cui
Maria sarebbe qui la rappresentante. Riguarda il Bambino invece la
presentazione al Tempio, che Luca presenta come una consacrazione con
valenza sacerdotale. Il libro dell’Esodo, nel contesto delle
prescrizioni per la Pasqua, prevede la consacrazione al Signore di ogni
primogenito maschio (Es.13,2), in memoria dei primogeniti di Israele
risparmiati dall’Angelo Sterminatore in virtù del sangue dell’agnello.
Il sacrificio di un paio di colombi, offerta richiesta ai poveri, era
dovuto per la purificazione, ma Luca lo collega qui alla presentazione
del bambino, e anche questo ne mette in evidenza il carattere cultuale e
sacrificale.
Il
primo incontro è con Simeone, presentato come uomo “giusto e pio” e
sotto l’azione dello Spirito Santo (citato ben tre volte in due
versetti). Non si dice subito che l’uomo è vecchio, ma che attende la
“consolazione” (“paràklesis” nell’originale
greco) d’Israele: altro riferimento allo Spirito, che nel Nuovo
Testamento viene chiamato anche “Paraclito” = Consolatore.
Lo Spirito ha promesso a Simeone che prima di morire avrebbe “visto” il “Cristo del Signore”:
la fiducia in questa promessa alimenta di speranza la sua attesa, e per
ispirazione dello Spirito egli si reca in quel giorno al Tempio. Il
verbo “vedere” (cfr. i vv.26 e 30) è quello usato anche dall’evangelista
Giovanni per indicare il “vedere” della fede (cfr. “e vide e credette” di Giov.20,8).
L’incontro
è descritto con un linguaggio liturgico e cultuale. Dapprima Simeone
sembra ignorare i genitori e quasi metterli da parte: prende fra le
braccia il Bambino, come un’offerta sacrificale, e benedice Dio con un
cantico di lode che celebra il compimento delle profezie. La parola (il
greco “rema” qui usato corrisponde all’ebraico “dabar”)
del Signore si è compiuta, Simeone vede la “salvezza” di Dio. Il
Signore può dunque lasciare andare “in pace” il suo servo: solo ora
intuiamo l’età avanzata di Simeone, che va sereno incontro alla morte,
perché ha potuto vedere l’istante su cui si concentrano tutte le
profezie dell’Antico Testamento, e da cui parte la storia della nuova
Alleanza verso il compimento definitivo nel Regno; “salvezza
universale”, preparata davanti agli
sguardi di tutti i
popoli, luce delle genti e gloria di Israele. La rivelazione viene da
Israele, che ne riceve gloria e non sarà mai rinnegato, ma si rivolge a
tutte le genti.
Il
v.33 sottolinea lo stupore e l’incomprensione di Maria e Giuseppe, un
tema ricorrente in questi due capitoli di Luca (cfr.Luca 1,29;
2,19.48.51b). a questo punto Simeone (che prendendo in braccio il
Bambino aveva benedetto Dio) pronuncia la seconda benedizione sui
genitori, quasi a sottolineare la duplice origine del Cristo, divina
tramite lo Spirito, umana attraverso Maria. E a Maria rivolge, dopo
l’inno di lode, l’oracolo profetico. La parola di Simeone non è più
rivolta indietro, alle profezie dell’Antico Testamento che oggi si
avverano, ma in avanti, a quella che sarà l’azione nella storia del
Salvatore che è nato.
La profezia consta di quattro elementi. Il Bambino “porta rovina e resurrezione per molti in Israele, è segno di contraddizione”: davanti a Lui non si potrà rimanere indifferenti o neutrali, ma bisognerà compiere scelte essenziali di vita. Egli infatti “svelerà i pensieri di molti cuori”, metterà a nudo la verità profonda dell’uomo e la sottoporrà a giudizio. E alla madre “una spada trafiggerà il cuore”:
è la profezia della passione che riguarda il cuore materno di Maria, ed
è anche la spada del giudizio che imporrà a Israele – di cui Maria è
figura – di prendere posizione a favore o contro Gesù.
Il
secondo incontro è narrato più brevemente, e tuttavia sul personaggio
di Anna noi siamo più informati: sappiamo che è profetessa, abbiamo il
nome suo, del padre e della tribù; ne conosciamo l’età e la durata del
matrimonio, fino alla vedovanza. Benchè donna, presta servizio al Tempio
giorno e notte, digiuna e prega: questo suo comportamento ce la rivela
anch’essa in attesa della “liberazione di Gerusalemme”. Giunge alla
stessa ora di Simeone: non lo si dice esplicitamente, ma è evidente
anche qui un’ispirazione dall’alto. Anch’ella rende grazie a Dio,
riconosce cioè il compimento delle promesse, e anch’ella profetizza,
“parlando del Bambino” a tutti i fedeli israeliti.
Adempiute
tutte le prescrizioni, la famiglia torna a Nazareth: si conclude un
ciclo che va da Nazareth a Betlemme, a Gerusalemme, e di nuovo in
Galilea, e che sarà lo stesso percorso della vita di Gesù fino alle
apparizioni del Risorto, per tornare infine a Gerusalemme, città sacra e
simbolica, con l’ascensione.
Il vangelo in poche parole