Grazie. Io non ho alcun dubbio. “Grazie” è la parola più bella del
mondo. E la vita è bella, sempre più bella, quanto più ciascuno porta
nel cuore questa parola. Si legge sul volto delle persone quando nel
cuore c’è la riconoscenza, perché la riconoscenza porta gioia,
contrariamente al risentimento, che crea musi lunghi inguardabili.
Grazie, grazie, grazie
A volte, poi, il grazie si fa parola. E fa piacere, è bello. Penso ai
grazie che, attraverso di me, giungono alle mie comunità e ai
volontari, in questo tempo. Mi piace ricordarne alcuni. “Grazie don per
quelle caramelle di Santa Lucia vendute e regalate domenica, hanno dato
un tocco di felicità alla nostra giornata!”. È il grazie che va ai miei
giovani, che hanno avuto l’idea e si sono messi a realizzarla.
Questo li carica: lo avrebbero fatto comunque, ma il grazie mette le
ali all’entusiasmo e genera un clima positivo e propositivo. “Grazie per
le vostre parole durante le celebrazioni: mia mamma vi segue ascoltando
la Messa che trasmettete su Youtube della Parrocchia, e vi sente
vicini”.
Noi preti proviamo a lasciarci interpellare dalla Parola e a
restituire qualcosa di quanto lo Spirito ci dona; che ci riusciamo bene o
no, comunque ci proviamo. E allora fa piacere sentire che la nostra
parola umana, che ha cercato di mettersi a disposizione di quella di
Dio, ha aiutato qualcuno a pregare, a sentirsi parte della comunità, a
non sentirsi solo. “Don, grazie perché state vicini ai nostri ragazzi in
questo tempo, con i messaggi e con quei programmi che vi permettono di
incontrarvi a distanza. Fanno fatica a casa, ne hanno bisogno, perché
sono adolescenti… non ce la fanno più..”.
Il grazie in mezzo alle difficoltà della pandemia
In questa gratitudine leggo il lavoro preziosissimo dei nostri
educatori adolescenti, che cercano costantemente di costruire legami,
con tutta la fatica legata al virtuale, ma con la speranza che il farsi
prossimi, anche con queste modalità che le tecnologie odierne rendono
possibile, possa portare frutti quando, finalmente, liberi dagli
schermi, potremo incontrarci di nuovo nei nostri spazi, liberi di
stringerci la mano, di scambiare un abbraccio, di mettere la mano sulla
spalla per incoraggiare. “Don, volevo ringraziare per la catechesi di
quest’anno. È vero, è impegnativo alzarsi presto anche alla domenica,
l’unico giorno in cui potremmo dormire un po’ di più, per essere con i
bambini alla Messa delle 9:30. Poi però, pensandoci… anche la catechesi
“normale” lo scorso anno era alle 9:30. E poi don mi rendo conto che non
c’erano altre soluzioni, perché il momento è davvero difficile, con
tutte queste regole e restrizioni! Ringrazia i catechisti, è impegnativo
anche per loro. Ringraziali perché anche loro lavorano, ma sono lì, per
aiutare i nostri bambini a crescere nella fede. Non voglio darlo per
scontato! È un dono”.
Che bello leggere riflessioni così: infondono coraggio, mostrano la
capacità di concentrarsi su ciò che conta e di fare uno sforzo per
portare avanti un cammino perché in esso si crede, non come fosse un
obbligo imposto o un prezzo da pagare a qualcuno in cambio di qualcosa.
Quando si incontrano persone contente e riconoscenti, il cammino si fa
più leggero anche se è in salita, perché viene meno la pesantezza
propria dei risentiti, che spesso sono coloro che non si rendono conto
della fortuna che hanno.
E poi, chi è riconoscente celebra veramente l’Eucarestia, il
rendimento di grazie per eccellenza dei cristiani: sì, questa
è condizione necessaria. Il risentito, perennemente lagnante con
qualcuno, l’eterno scontento, non celebra nulla e con la fede cristiana
non ha nulla a che fare.