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Le recensioni del Cinema Bernina:

Le recensioni del Cinema Bernina: "Free Solo" - di Jimmy Chin e Elizabeth Chai Vasarhelyi, 2018

 ~ Ho questo ricordo d'infanzia nel quale qualcuno inserisce per la prima volta nella mia mente spugnosa la nozione di salita in arrampicata senza corde e protezioni.

In seguito ho creduto per moltissimi anni che mi fossi inventato tutto trattandosi di un'idea del tutto impraticabile.

Ne abbiamo tutti sentito parlare: il 3 giugno 2017 un arrampicatore scala la parete dell'"El Capitan" in free solo in 3 ore e 56 minuti (molto meno del previsto ndr.).

Nove cifre in tre righe.
In effetti, citando Alex, "il free solo è ciò che più si avvicina alla perfezione", e all'esattezza matematica, potremmo aggiungere.

Connotiamo un poco meglio l'impresa:
si tratta di un monolite granitico di più di 900 metri d'altezza. Non è necessaria una grossa propensione per la matematica per intuire che più tempo si trascorre rischiando la morte più aumenta la probabilità che questa sopraggiunga, e quasi quattro ore è una quantità di tempo impensabile.

Amo questo genere di imprese, ho sempre amato i record, e quando dico "sempre" dovete immaginarmi a sfogliare in biblioteca il Guinnes dei Primati del 1999 (quello con la scritta zigrinata). Trovo che conoscere i limiti che abbiamo tracciato come specie sia un esercizio che ha la sua necessità propedeutica per occuparsi poi del resto, del contenuto di questa chiazza. Sapere esattamente quanto lontano nello spazio siamo arrivati, quanto può saltare in lungo un essere umano, quanto può resistere senza morire di sonno e così via sono tutte informazioni che hanno una certa utilità pratica, non trovate?

Se così non fosse potreste non entrare mai in empatia con la personalità di Alex Honnold.

"Pourquoi?", così si apre "The Walk" di Zemeckis, a narrare l'impresa del funambolo fra le Torri Gemelle. Al di là del fatto che mi sembri un modo geniale di aprire una sceneggiatura, allo stesso tempo Petit va a spiegare che è questa la domanda che più spesso gli viene posta circa la sua condotta di vita.
Trovo che la risposta che fornisce il nostro scalatore sia anche più interessante, e partirei da qui:

"se mi sentissi obbligato a vivere più a lungo non farei free solo"

"io non ti faccio sentire più obbligato a vivere più a lungo?", a chiederglielo è la sua fresca fidanzata, a pochi giorni dall'impresa.

Non c'è molto altro che si possa aggiungere circa questo documentario se non applaudirne lo sforzo. La pressione extra che ha dovuto generare l'idea di essere ripreso in Hannold è motivo sufficiente a trovare in questo documento visivo un ulteriore ragione di lode. Altri vi potrebbero trovare una critica, di egocentrismo, tanto per cominciare, ma ora ci arriviamo.

Trovo che ci siano diversi approcci che affrontano questo genere di personalità votate all'impresa intentata: quello di ricavarsi un motivo, un postulato, che li sproni a realizzare quell'impossibile che vi sarà inserito (è il caso di Werner Herzog e della sua produzione di "Fitzcarraldo" che ha trovato nella ragione di confezionare un film la sua motivazione), coloro che nel confronto agonistico con gli altri trovano questa motivazione (è il pensiero dei record men o degli atleti), e coloro che hanno nella loro professionalità e nei loro doni l'unica ragione di vita o, più precisamente, l'unico accesso individuato allo stato di felicità (è il caso di Honnold e di Petit).

In tutti e tre i casi esiste un minimo comune multiplo, e questo è la presenza di un pubblico, e di una dedica, per così dire. 
Questo è l'unico alibi che ci si possa raccontare perché si vinca l'istinto di autoconservazione: io mi sopravviverò, io vivrò nelle parole, nei pensieri e nei sentimenti che susciterò; io mi sopravviverei, io vivrei nelle parole, nei pensieri e nei sentimenti che susciterei.

Questo è tipico degli introversi: ciò che un introverso ama di più è essere notato a distanza e secondo la luce migliore. Essere sulla bocca di tutti il giorno dopo, esibirsi, persino, ma senza che questo implichi l'imprevedibilità del confronto diretto.

Honnold è la quintessenza dell'introversione.

Ci sono anche altri caratteri della psicologia dello scalatore che vengono analizzati nella lunghissima preparazione all'impresa. Questo è un altro merito oggettivo del documentario: interessarsi alla persona dietro al gesto.

A onor del vero in alcuni passaggi il rischio di narrare più che documentare si palesa, così come il solito voyeurismo foriero di inverosimiglianze da documentario. Ma è anche vero che nessun documentarista si sognerebbe di affermare che quella che sta riprendendo sia la realtà dei fatti.

In una piccola digressione di estetica documentaristica si potrebbe riflettere su quali tipi di documentari possono vantare un più alto grado di aderenza al reale e alla spontaneità delle azioni e delle parole riprese.

Ad ogni modo,
il documentario è davvero strabiliante, personalmente vedendolo in sala ed avendo il campo visivo completamente invaso dalla mastodonticità di El Captain ho provato a più riprese quasi un senso di nausea, tanto ero coinvolto dall'impresa, che pure razionalmente sapevo essersi conclusa nel migliore dei modi ma altrettanto la mia facoltà della sensibilità e la mia amigdala non ne erano affatto convinte.

Guardatelo, guardatelo e tornate a farmi sapere cosa ne pensate di Honnold, del suo modo di vivere le relazioni, della sua particolare posa esistenziale e delle emozioni che avete provato vedendo questo grande documento, tanto importante per la nostra specie.

- Sebastiano Miotti

15/03/2019 Categoria: Torna all'elenco