La
pericope odierna è tutta incentrata sul tema della “tomba vuota”. Essa,
com’è noto, non è sufficiente a “dimostrare” la resurrezione di Gesù,
non è una “prova” di essa; e tuttavia è un importante indizio, un
“segno” per chi sa leggerlo correttamente.
Giovanni,
che ama esprimere attraverso singoli ed emblematici personaggi diverse
posizioni, ci presenta nel cap.20 le tre diverse reazioni di fronte alla
tomba vuota di Maria Maddalena, di Pietro e dell’ “altro discepolo”, che è poi lo stesso Giovanni, il “Discepolo amato”.
Giunta al sepolcro, Maria vede (“blépei”) la pietra tolta, ribaltata via. Il suo vedere è espresso con “blépo”,
un verbo greco che indica il vedere fisico, il semplice scorgere con
gli occhi, la percezione materiale. Da questa percezione deriva alla
donna una conclusione puramente umana: il cadavere non c’è più, quindi è
stato rubato, portato via. Di qui il suo dolore, anzi la sua angoscia,
perché le è stata sottratta – forse per sempre – l’unica reliquia che le
era rimasta del suo amato Maestro.
Ella
avverte di ciò i due maggiori esponenti della comunità cristiana
primitiva e anch’essi vanno subito, e di corsa, al sepolcro. Pietro, cui
Giovanni ha dato la precedenza, entra nella tomba e “osserva” tele e
sudario piegati accuratamente. Questa volta il verbo greco è “theoréin”, che dice più del semplice vedere fisico: significa infatti “scrutare attentamente” ed
implica uno sguardo attento, riflessivo, interrogante. Infatti dal
passo parallelo di Luca (c.24,v.12 b) veniamo a sapere che Pietro era “pieno di stupore” per l’accaduto.
Infine anche il terzo personaggio emblematico del racconto, “l’altro discepolo”, entra nel sepolcro e di lui l’autore dice che “vide e credette”. Questa volta il verbo greco tradotto con “vide” è “éiden”, il perfetto di “horào”,
che significa guardare, percepire, prendere conoscenza; nel linguaggio
biblico del N.T. il verbo indica anche la visione spirituale. Siamo cioè
a un terzo gradino di profondità rispetto agli altri due verbi
esaminati.
Che cosa vide e che cosa credette Giovanni?
Gli esegeti hanno dato risposte diverse, anche perché il v.7 costituisce una vera e propria “crux” interpretativa.
Da
parte mia ho trovato convincente la proposta di traduzione fatta dal
sacerdote biblista Don Antonio Persili (ampiamente citato da V. Messori
in “Dicono che è risorto”, capp.12°-13°), il quale
ha
dedicato interi decenni (sic!) a studiare Giov.20,3-8,esplorando non
solo il testo originale, ma il contesto storico, archeologico,
antropologico, gli usi e i costumi funerari del tempo, etc.
Sulla
base di una ben documentata analisi filologica, egli propone una
traduzione dei vv.6-7 diversa da quella ufficiale e cioè:
NON “[Pietro] osservò i teli posati là, 7e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i
teli, ma avvolto in un luogo a parte.“
MA: “[Pietro] contempla le fasce distese e ( 7) il sudario, che era sul capo di lui, non disteso con le
fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica”
Che cosa si evince da questa traduzione?
Anzitutto
le fasce, cioè le strisce di tela che avvolgevano il lenzuolo funerario
(o sindone), se prima erano rialzate (perché all’interno c’era il
corpo), ora sono “abbassate”, “distese”; cioè intatte, non manomesse,
non disciolte. “Esse –afferma Persili – costituiscono la prima traccia della Resurrezione:
era infatti assolutamente impossibile che il corpo di Gesù fosse uscito
dalle fasce, semplicemente rianimato, o che fosse stato asportato, sia
da amici che da nemici, senza svolgere quelle fasce o, comunque, senza
manometterle in qualche maniera” (da “Sulle tracce del Cristo Risorto”).
Ma
soprattutto risulta interessante il particolare del sudario (cui
Giovanni dedica un intero versetto, il 7), che, secondo la traduzione
proposta, si trova non separato dalle bende, bensì sopra le bende, nel
punto in cui stava la testa del cadavere, “avvolto in una posizione unica”;
infatti “unica”, cioè singolare, eccezionale, irripetibile, appare la
posizione di tale sudario agli occhi di Pietro e Giovanni, perché è una
sfida alla forza di gravità! Come poteva un telo rimanere “rialzato” ed
“avvolto” senza nulla dentro? L’unica
spiegazione plausibile è che il sudario fosse rimasto per così dire
“inamidato” per l’essiccarsi (immediato) dei profumi liquidi
abbondantemente versati su di esso al momento della sepoltura: era un
involucro “imbalsamato”, che conservava ancora la forma di ciò che aveva
contenuto fino a qualche ora prima, come se il corpo l’avesse
misteriosamente attraversato senza scomporlo. Del resto Gesù risorto non
sarebbe apparso all’improvviso nel cenacolo, a porte chiuse?
Ora, Pietro e Giovanni videro le medesime cose, ma solo di Giovanni si dice che “vide e credette”, perché? E che cosa “vide” Giovanni, che cosa “credette”?
Anzitutto
Giovanni, a differenza di Pietro, era rimasto con Gesù fino alla fine,
aveva assistito alla sua sepoltura e ora, chinatosi sul sepolcro, vede
che bende e sudario sono esattamente nella posizione in cui si trovava
il cadavere e collocate in modo che, come visto sopra, escludeva
qualsiasi manomissione.
Ricordiamo che per l’evangelista Giovanni “vedere” (“horào”) è anche un prendere coscienza di un evento della rivelazione.
Il discepolo dunque “vide”, in modo più profondo degli altri, che Gesù
non era uscito dalle tele, perché, all’interno di esse, era entrato
direttamente nella dimensione dell’eternità, con un passaggio misterioso
da uno stato all’altro, dal tempo all’eterno. In questo “vedere” gli fu
di aiuto – come detto - la sua precedente esperienza al sepolcro.
Ma soprattutto era l'amore per Gesù di cui il “discepolo amato” era penetrato che lasciò passare in lui la luce: le fasce, afflosciate su se stesse ma ancora avvolte, e il sudario in quella strana posizione, erano il SEGNO che Gesù era uscito vivo dal sepolcro, sottraendosi in maniera misteriosa ai panni che Lo avvolgevano. Giovanni coglie dunque nella disposizione delle bende e del sudario un rinvio. Non vede il Risorto, ma la sua traccia.
Di conseguenza egli crede, prima ancora di incontrarLo come avverrà per gli altri (che solo allora crederanno alla resurrezione), che Gesù è davvero resuscitato dai morti.
“Vide
e credette”; “questa espressione sintetica, lapidaria – osserva Messori
- segna un momento solenne: è in quell’istante, in effetti, che nasce
la fede, che nasce il cristianesimo stesso.” (op. cit. p.120)
Molto suggestivo e significativo è anche quanto afferma Karl Barth nella
sua “Dogmatica”: “Costituiscono uno stesso SEGNO un seno vergine
trovato pieno e una tomba piena trovata vuota”. L’ingresso come l’uscita
del Figlio di Dio dalla vita e dal mondo restano avvolte nel mistero.
Il vangelo in poche parole