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La Parola è la mia casa: Smettere di trovare casa nelle ricchezze e iniziare a trovare una casa nei fratelli (XXV dom TO anno C)

La Parola è la mia casa: Smettere di trovare casa nelle ricchezze e iniziare a trovare una casa nei fratelli (XXV dom TO anno C)

I testi della liturgia del 22 settembre da www.chiesacattolica.it

Il commento alle letture
(da www.lpj.org)

Smettere di trovare casa nelle ricchezze e iniziare a trovare una casa nei fratelli

di mons. Pierbattista Pizzaballa

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Il brano di oggi (Lc 16,1-13) segue direttamente il capitolo XV del Vangelo di Luca, con le parabole della misericordia che abbiamo ascoltato domenica scorsa, e continua con uno stile parabolico.

Quella riportata oggi, però, è alquanto strana: Gesù racconta di un amministratore che svolge le sue mansioni in maniera disonesta; il suo datore di lavoro se ne accorge, e gran parte della parabola è occupata dagli stratagemmi che l’amministratore escogita per salvarsi da questa situazione incresciosa. E, alla fine, il padrone lo loda per la sua scaltrezza.

Apparentemente, rispetto alle parabole che abbiamo ascoltato domenica scorsa, oggi sembra che Gesù abbia completamente cambiato argomento. Ma potrebbe non essere così.

Ci sono diversi elementi comuni, che proviamo ad ascoltare.

Il primo è quello della difficoltà: domenica scorsa c’era un figlio in difficoltà per essersene andato di casa, oggi c’è un amministratore che viene scoperto nei suoi intrighi.

Entrambi, poi, si trovano in questa difficoltà per essersela in qualche modo un po’ cercata.

In entrambi casi la difficoltà è irrisolvibile con le proprie forze umane, e la cosa è resa molto bene dalle parole dell’amministratore: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno” (Lc 16, 3).

Entrambi rientrano in se stessi, una volta toccato il fondo, per decidere il da farsi.

Entrambi, infine, non desiderano altro se non una casa, un luogo dove essere riaccolti dopo aver fatto esperienza del proprio limite, del proprio errore, della propria incapacità a bastare a se stessi.

Allora, dalla parabola di oggi, come quella di domenica scorsa, intuiamo un medesimo messaggio.

Il primo è che siamo tutte persone mancanti: abbiamo un debito, con il quale nasciamo, per il solo fatto di aver ricevuto la vita in dono, e questo debito si accresce sempre più lungo la strada della vita.

Nessuno di noi, in nessun modo, può riuscire a sdebitarsi: è impossibile.

Dalla parabola, inoltre, emerge che tutto ciò non è un grande problema: il padrone non si accanisce contro l’amministratore, non pretende che saldi il debito immediatamente. Anzi, gli dà del tempo, perché possa in qualche modo sistemare le cose.

Ciò che è importante, infatti, è trovare il modo per non restare bloccati nel proprio debito, nella propria paura: e potremmo dire che la via c’è, ma è una sola, ed è quella di intuire qual è la vera ricchezza, il vero bene.

L’amministratore intuisce che la vera ricchezza è quella dell’amicizia, della fratellanza, e fa di tutto per entrarne in possesso.

Lo fa smettendo di utilizzare gli altri per arricchirsi, e iniziando, al contrario, ad utilizzare le ricchezze per trovare amicizia. Potremmo dire che smette di trovare casa nelle ricchezze e inizia a trovare una casa nei fratelli, proprio come il figlio giovane della parabola di domenica scorsa, che smette di cercare una casa in se stesso e nei propri capricci e così ritrova la casa del padre.

Gesù, finito di raccontare la parabola, aggiunge un’esortazione molto severa a proposito della ricchezza (Lc 16, 9-13), perché sa che la bramosia dei beni è quella cosa capace di offuscare la vista dell’uomo, e di fargli credere che questi bastino alla sua vita, alla sua gioia.

E questo è così fin dall’inizio della storia: l’istinto del peccato, che Dio vede accovacciato nel cuore di Caino (Gn 4,7), non è altro se non quest’avidità insaziabile, per placare la quale l’uomo è disposto a tutto.

In realtà, Gesù afferma che le ricchezze sono poca cosa, anche quando sono tante, e sono disoneste (Lc 16,11-12): sono poca cosa perché non bastano a dare la vita; e sono disoneste, perché promettono la vita anche se sono incapaci di mantenere la promessa.

Eppure, chi sarà fedele in questa cosa poca e disonesta, senza utilizzarla pensando che sia tutto, ma vivendo come delle persone mancanti che condividono ciò che hanno con gli altri, alla fine troverà, in questa stessa condivisione, la ricchezza vera.

Una ricchezza capace di placare la bramosia, e di far trovare una casa dove infine poter abitare.

 

Il vangelo in poche parole


«Ostentare ricchezza, potere, sicurezza, salute, attivismo, sono tutti espedienti per esorcizzare l’angoscia del tempo che ci sfugge dalle mani».

 

Card. Carlo Maria Martini


La Parola da vivere

Parola da vivere durante la settimana: CHI È FEDELE NEL POCO

La ricchezza è disonesta quando non è donata. Tutta la giustizia farisaica impersonata dal fratello maggiore del prodigo è un patrimonio non comunicato e non dato. È una giustizia che condanna. La giustizia divina è invece salvifica. Gesù non è venuto per condannare, ma per liberare e per salvare. Se perdoniamo, saremo perdonati. Il nostro compito è quello di essere attivamente partecipi del banchetto della misericordia, perché il giudizio di Dio è diventato, per la Pasqua di Gesù, giudizio di salvezza. Siamo invitati a servire il servo che ci ha redenti.

 

 

Altri commenti affidabili, semplici, profondi

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don Tonino Lasconi: www.paoline.it (testo)
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Comunità Kairòs: Lectio (testo)
Carmelitani: Lectio divina quotidiana (testo)
Combonianum.org: Lectio divina (testo)
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21/09/2019 Categoria: Torna all'elenco