«In mezzo a voi sta uno che non conoscete», dice Giovanni Battista ai suoi interlocutori, parlando di Gesù del quale si dichiarava umilissimo precursore: «a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Conosciamo bene il senso dell'affermazione del Battista e non ce lo
stiamo a spiegare ancora. Invece, chiedendogli umilmente perdono, ci
appropriamo del suo "in mezzo a voi sta uno che non conoscete" per
rivolgerlo non ai farisei, ma alle persone che ci vivono accanto e che
incontriamo per lavoro o per amicizia. Succede infatti che troppi non conoscano Gesù, se non di nome o in modo sbagliato e inadeguato.
Da molto tempo questa "non conoscenza" di Gesù (anche tra i
praticanti!) nonostante gli anni di catechismo, di prediche domenicali,
di convegni e quant'altro, è stata denunciata. Ma la denuncia non è
stata presa troppo sul serio, forse perché non se ne conosceva realmente
la portata. Con l'arrivo dei social forse finalmente ci ricrederemo.
Questi ultimi, infatti, se per i sapientoni e gli intellettuali "hanno
dato la parola a legioni di imbecilli", hanno offerto anche la
possibilità di verificare come stanno veramente le cose tra la nostra
gente, anche a proposito di Gesù, non riguardo a date, luoghi, feste,
tradizioni... ma al suo messaggio, ciò che è indispensabile per una fede
adulta e matura.
Le chiacchiere di questi giorni sul Natale, sulle Messe in streaming, sulle variazioni del Padre nostro... dimostrano quanto sia forte e urgente il bisogno di cristiani adulti e consapevoli,
capaci di discernere l'essenziale dal marginale per quanto riguarda la
fede in Gesù. Ecco perché, anche se il paragone è paradossale, dobbiamo
essere consapevoli che ognuno di noi, con tutta l'umiltà possibile deve
sentirsi "precursore", potendo e dovendo dire di se stesso: «Lo spirito
del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con
l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a
fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli
schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazia
del Signore». Che in parole più alla nostra portata vogliono dire che
tutti siamo chiamati a essere voce e testimoni di Gesù come Giovanni
Battista, «per dare testimonianza alla luce, perché tutti credano per
mezzo di lui».
Quale testimonianza?
L'invito a una testimonianza più limpida ce lo ripetiamo da sempre,
cercando umilmente di metterlo in pratica. La Parola di questa domenica
ci stimola a verificare se per caso i risultati spesso scoraggianti di
questo nostro impegno non dipendano dalla mancanza di un elemento: la gioia.
La prima e la seconda lettura, nonché il salmo (che è il canto di
Maria: il Magnificat), risuonano di gioia. Il Servo di Dio gioisce
pienamente nel Signore. Maria esulta in Dio. Paolo è ancora più
esplicito: «siate sempre lieti». Ecco: la nostra testimonianza manca di gioia.
Non la gioia da cercare nel weekend che non c'è nella vita di ogni
giorno: il divertimento, lo stordimento, lo sballo; ma quella che va
creata nella quotidianità, con il criterio che Paolo ci indica:
«Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono». È di questa gioia che noi
cristiani oggi dobbiamo rivestire la nostra testimonianza.
Avvicinandoci al Natale sentiremo sempre di più parlare della gioia che
il Covid-19 ci ha negato: non potersi incontrare, non poter viaggiare,
non poter... Non è che queste cose non manchino e non sia legittimo
anche rimpiangerle, ma la testimonianza a noi stessi e agli altri dovrà
essere quella di saper "essere sempre lieti" comunque, perché la gioia non la rimpiangiamo in ciò che ci manca, ma la creiamo in tutte le cose che possiamo fare e nel come farle.