Iniziamo questa domenica il terzo dei cinque discorsi che strutturano il Vangelo di Matteo: il discorso in parabole.
Gesù esce di casa e va a sedersi sulla spiaggia, forse la stessa dove
aveva chiamato i suoi primi discepoli, spazio del lavoro e, insieme,
frontiera fluida tra le sicurezze della terraferma e la complessità e le
paure rappresentate nella Bibbia con l’immagine del mare. Poco dopo è
costretto, sia pure per pochi metri, ad imbarcarsi su quel mare.
E qui comincia a parlare in parabole, quella comunicazione antica e
saggia che non è composta, come spesso si crede, da storielle ed esempi
pratici per far capire meglio gli illetterati, ma che vela di stupore e
di mistero il vero messaggio del maestro.
La prima parabola ambienta e offre la chiave di lettura di quelle che
seguiranno. Gesù accompagna l’immaginazione della folla in campagna, al
seguito di un singolare seminatore che spreca il seme spargendolo con
abbondanza su ogni terreno. Nessun angolo del campo, per quanto in
condizioni disperate relativamente ad un possibile raccolto, viene
scartato. Con un po' di fantasia, possiamo sentire ancora oggi la folla
rumoreggiare alle stranezze del seminatore in attesa di un insegnamento
sulla saggia gestione delle risorse o sulla meritocrazia.
E invece arriva il colpo di scena: abituati alle modeste mietiture che
offriva la terra di Galilea (una resa di 12-15 chicchi di cereale per 1
seminato) gli ascoltatori saltano in piedi alla conclusione del maestro …
un raccolto straordinario ... cento, sessanta, trenta.
Un finale che non dà risposte preconfezionate, ma che suscita domande e
curiosità, che chiede coinvolgimento. Ed infatti i discepoli, coloro
che, a differenza della folla, hanno già scelto per Gesù, qualche
interrogativo su quello strano modo di comunicare lo pongono.
Gesù, dopo aver introdotto il misterioso concetto del Regno, li conduce
a bordo di famosi e misteriosi versetti del profeta Isaia dentro la
comunicazione in parabole, quella narrazione che paradossalmente si
sforza di non far capire le folle.
Senza vera scelta e coinvolgimento per Gesù ci si illude di vedere, di
comprendere, di vivere; in realtà la Parola resta sterile narrazione
catechistica o culturale, lo stile evangelico rischia di degenerare in
ideologie identitarie e rancorosa difesa di valori, la vita comunitaria
in aride pratiche tradizionali e stanche appartenenze. Il popolo di Dio
nel dare il suo consenso all’alleanza ai piedi del Sinai aveva
affermato: «lo faremo e lo ascolteremo» ... non capisci se non scegli e
non metti in gioco tutto, non conosci l’amore se non lo vivi.
La spiegazione della parabola, spostando l’attenzione dal seme ai
terreni, dice proprio questo: il discepolo è chiamato a impastare il
Vangelo nella terra della propria vita, ad uscire dalle mura sicure
degli ambienti parrocchiali per immergere la Parola dentro il mondo di
oggi pieno di paure per il futuro, nella società dove tutto è liquido,
nel mondo del lavoro in continua trasformazione.
Il vangelo in poche parole