Tutto è tuo: tutto disponi secondo la tua piena volontà.
Ignazio di Loyola
I racconti di Pasqua, quelli che descrivono gli eventi immediatamente successivi alla risurrezione di Gesù, parlano spesso di delusione, come nel caso dei discepoli di Emmaus, di paura come la prima finale di Marco, in cui le donne fuggono dal sepolcro senza dire niente, di porte chiuse, come quelle del Cenacolo, in cui i discepoli si sono chiusi dentro.
Il rischio dunque di rimanere delusi, fermi e chiusi
dentro è sempre in agguato, soprattutto in quei tempi della vita in cui
non riusciamo a capire cosa sta avvenendo, nelle situazioni in cui
saltano i nostri schemi o quando ci troviamo davanti a fatti che ci
sembrano più grandi di noi.
Non mi meraviglia, dunque, che l’intervento di Gesù risorto
vada proprio nella direzione di rimettere in moto delle vite
che rischiano di rimanere inceppate sotto il peso
dell’incomprensione. Per andare avanti, bisogna rileggere e
salutare il passato.
L’episodio dell’ascensione di Gesù al cielo è un
momento di congedo, necessario per poter ripartire. Non a
caso, questo evento è non solo la fine dei Vangeli, ma
anche l’inizio degli Atti degli apostoli. È un evento che
genera proprio perché permette di prendere congedo da quello che è
avvenuto.
A volte anche noi siamo incapaci di ripartire nella vita
perché rimaniamo attaccati a quello che è successo, rischiamo di
fissarci senza la capacità di voltare pagina.
Questi versetti sono attraversati da verbi di movimento: Gesù
invita ad andare. E alla fine i discepoli mostrano di aver accolto
l’invito di Gesù, infatti partirono e predicarono. Nella
loro vita è avvenuto un cambiamento e si sono rimessi in moto.
Per ripartire, occorre prendere atto che le cose sono
cambiate. A volte è proprio questa la fatica più grande:
le cose non rimangono mai uguali per sempre, c’è una novità in
cui di volta in volta dobbiamo entrare. Ma insieme al cambiamento c’è
anche una promessa: il testo del Vangelo dice infatti che anche dopo
l’ascensione, anche quando i discepoli pensano di dover affrontare
da soli le vicende del mondo, il Signore agiva con loro. È
vero, il contesto è diverso, ma Gesù non li abbandona!
Questa comunione con Gesù si esprime attraverso dei segni
concreti, che raccontano anche la durezza dell’esperienza:
Gesù manda i discepoli nel mondo, ma senza nascondere le fatiche.
Eppure, se resteranno nella comunione con il Signore, saranno capaci
di scacciare i demoni, ovvero le tentazioni, le minacce, le
invidie, i tentativi di divisione, quei demoni che agiscono da fuori
e da dentro; saranno capaci di parlare lingue nuove,
ovvero di comunicare laddove sembra impossibile, di entrare in
contesti sconosciuti, di abitare culture che sembrano distanti;
prenderanno in mano i serpenti, potranno maneggiare
la malizia e la maldicenza, non saranno toccati dal veleno che i
nemici immetteranno nella loro vita e in quella della comunità;
guariranno i malati, porteranno consolazione,
cureranno le ferite di un mondo lacerato dagli odi e dall’egoismo.
Come la pioggia e la neve, così il Figlio è
venuto dal cielo e ha fecondato l’umanità con la sua Parola. Ora
ritorna da dove è venuto, perché questa è la dinamica di ogni vero
dono che viene dal Padre. E Gesù è il dono per eccellenza, la
misericordia che attraversa la nostra vita. Come ogni dono, così
Gesù, non può essere trattenuto. Guardando Gesù che ritorna al
Padre, siamo invitati a ripensare alla dinamica di tutta la nostra
vita: accogliere quanto ci viene dal Padre e vivere la disponibilità
a lasciarlo andare, perché nulla mai ci appartiene.
Il vangelo in poche parole