Gesù ha prima
parlato in parabole alle folle sulla spiaggia, poi è rientrato in
casa per continuare il discorso con i discepoli.
Qui il Maestro
tratteggia altre due immagini per mostrare le tante sfaccettature
dell’idea di regno dei cieli: un uomo, forse un contadino, e
un mercante; uno trova un tesoro senza cercarlo e, in maniera non del
tutto onesta (la preoccupazione di Gesù non è qui quella morale),
lo nasconde e compra dall’ignaro proprietario il campo; l’altro
fa della ricerca della perla preziosa l’attività e la professione
di tutta una vita e quando la trova è pronto a vendere tutto per
averla.
Gesù con queste
parabole non offre un insegnamento che fornisca alla società e alle
famiglie un minimo di moralità, di valori, di indicazioni di
corretto comportamento. Non è qui questione di buona educazione e di
belle tradizioni di una volta o di campanilismi e identità, magari
da rivendicare ed esibire contro qualcuno. La sapienza di Gesù non è
prudenza e moderazione, ma audacia e anticonformismo: il regno è
ricerca e tesoro, capacità di cogliere l’attimo, di rischiare e
scegliere, di farsi criticare da moderati e benpensanti per inseguire
una felicità, per rispondere ad un “seguimi” che spinge a
cambiare se stessi e il mondo.
Gesù propone poi
un’altra immagine, ambientata sul mare di Galilea che si fa sentire
appena oltre l’uscio della casa. «Il
regno dei cieli è una rete che raccoglie ogni genere di pesci»,
... e subito scatta lo sguardo di intesa tra quattro degli
ascoltatori a cui sembra di risentire la profezia del Maestro,
«Seguitemi, vi
farò pescatori di uomini»,
e di rivedere reti, barche e famiglie lasciate quel mattino sulla
riva. Lo stesso sguardo che dice «sta
parlando di noi»
passa tra i cristiani di qualche tempo dopo, mentre ascoltano
le prime versioni del testo di Matteo: il regno, come le prime
comunità cristiane che non senza fatiche e perplessità abbattevano
muri e pregiudizi secolari, è aperto a tutti, nessuno è escluso in
partenza.
Solo in seguito il
racconto, riprendendo quello del grano e della zizzania, si trasforma
in una parabola di separazione e di giudizio finale dove i pesci
buoni (quelli conformi alle regole alimentari ebraiche) vanno nei
canestri e quelli cattivi (gli impuri, senza squame e pinne, che gli
ebrei non possono mangiare) gettati via.
Il discorso in
parabole si conclude con un autoritratto geniale: «Ogni
scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un
padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
L’ultimo
redattore, chiamato da qualche biblista “Matteo lo scriba”, mette
la sua firma e la sua testimonianza. La
cosa nuova
non è solo il Vangelo di Gesù, ma anche la
storia dello scriba che
è
divenuto
discepolo.
E
una nuova pagina viene scritta anche ora: la buona
notizia
sei tu che leggi questa pagina di Matteo, è il dubbio che già
sta facendosi strada dentro di te … non varrà forse la pena di
rischiare
e rimettersi
in gioco per fare di Dio il re, il tutto della tua
vita?
Il vangelo in poche parole