Cum Rex ille fortissimus,
mortis confractis viribus,
pede conculcans tartara,
solvit catena miseris.
Dall’inno delle lodi di Pasqua
Chiusi dentro
I fallimenti della vita, le delusioni, il rancore piano piano
chiudono le porte del nostro cuore. Congeliamo i nostri sentimenti per
non soffrire più. Avremmo preferito che le cose fossero andate
diversamente. Persino Dio non risponde sempre alle nostre aspettative. E
allora rinunciamo a vivere. Ci chiudiamo dentro come in un sepolcro. Ci
mettiamo una pietra sopra e non vogliamo più saperne. Ma il Signore non
si rassegna davanti ai nostri sepolcri e continua a spingere affinché
quella pietra sia rimossa.
Come un sepolcro
Anche i discepoli sono delusi e rassegnati. La paura li ha bloccati,
non riescono più a uscire dal loro dolore. Il sepolcro di Gesù è ormai
aperto, ma loro non possono vederlo, perché il Cenacolo è chiuso. Il
Cenacolo, il luogo della consegna di Gesù ai suoi amici, è diventato
paradossalmente il negativo del sepolcro: questo è ormai aperto, mentre
il cenacolo è chiuso. È come se, nonostante Gesù continuasse a rotolare
le nostre pietre sepolcrali, noi continuassimo a cercare una tomba in
cui restare chiusi dentro. E alcuni continuano a vivere così,
trasformando la loro esistenza in un mausoleo in cui ritirarsi a
piangere.
Dio non si rassegna
Il Cenacolo ha le porte chiuse, ma Gesù non si rassegna. Il Risorto
entra nella nostra vita nonostante le nostre chiusure. In quel luogo di
paura e di delusione che somiglia molto al nostro cuore, Gesù porta
prima di tutto la pace. È il segno della sua presenza. Gesù si fa
riconoscere, mostra ai discepoli i segni della sua passione. C’è una
continuità in quella storia. Quella sofferenza non è stata inutile. È
proprio questo riconoscimento che genera la gioia nel cuore dei
discepoli. La gioia nasce quando riconosciamo le tracce della presenza
di Dio anche nelle vicende faticose della vita.
Possiamo essere certi che questa gioia è il segno della presenza di
Dio quando non ci lascia immobili, quando non restiamo fermi, quando non
si spegne velocemente come l’esuberanza di una bibita gasata. I
discepoli sono invitati a uscire e ad annunciare.
Un cammino progressivo
L’esperienza di Dio non si traduce automaticamente nel coraggio della
sequela: otto giorni dopo le porte del cenacolo sono ancora chiuse. Si
tratta di un cammino progressivo. Pazientemente Gesù ritorna e continua a
farci sperimentare la sua presenza, fino a quando qualcosa si sblocca.
Nell’esperienza di fede c’è una comunicazione intima tra il Signore e
i discepoli: Gesù soffia su di loro per comunicare la sua vita. Il suo
Spirito entra in noi e ci rende audaci. Non saranno certo i nostri
meriti che ci renderanno capaci di annunciare il Vangelo, ma la sua
presenza in noi.
Anche in questo caso c’è un segno che ci permette di riconoscere il
Signore: lo Spirito di Gesù è uno spirito di perdono. Non si può
annunciare il Vangelo nel nome di Gesù quando non si è capaci di
perdonare.
La responsabilità del credente
È difficile pretendere che gli altri credano nella presenza di Gesù
in mezzo a noi quando noi stessi non siamo capaci di testimoniare la
gioia e il perdono che sono i segni della presenza di Dio. Tommaso,
probabilmente, si è trovato proprio in questa situazione, molto simile
all’uomo di oggi che non riesce a credere nella presenza di Dio a causa
della testimonianza di coloro che si presentano come suoi discepoli.
Tommaso è detto Didimo, cioè doppio o gemello, e proprio in tal senso
ci somiglia. Potremmo dire che in qualche modo Tommaso è gemello di
ogni discepolo, in lui possiamo rivedere la nostra stessa ambiguità.
Tommaso è doppio perché un po’ crede, un po’ non crede. È doppio anche
nella sua relazione con la comunità: un po’ è presente, un po’ se ne
allontana. Non la testimonianza dei discepoli, ma solo un incontro
personale con Gesù riesce a trasformare il suo cuore e a unificarlo.
In questo modo la comunità di ogni tempo è interpellata. Siamo
richiamati alla nostra responsabilità. Il Risorto ci pone una questione
drammatica: dovremo chiederci quanta responsabilità abbiamo nella nostra
capacità di permettere all’uomo contemporaneo di vivere l’esperienza di
Cristo attraverso di noi. Quanta responsabilità abbiamo
nell’incredulità dell’uomo di oggi?
I racconti di Pasqua diventano così un invito a guardarci anche come
comunità, per verificare in quali condizioni sono le porte del nostro
cenacolo.
Il vangelo in poche parole