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La Parola è la mia casa: Mi manchi! Il vuoto che apre alla relazione (dom Corpus Domini TO anno A)

La Parola è la mia casa: Mi manchi! Il vuoto che apre alla relazione (dom Corpus Domini TO anno A)

I testi della liturgia del 14 giugno da www.chiesacattolica.it

Il commento alle letture
(da cajetanusparvus.com)

Mi manchi! Il vuoto che apre alla relazione

di p. Gaetano Piccolo

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Nella parte più profonda

«Proporre all’uomo soltanto l’umano è tradire l’uomo e volere la sua infelicità, perché dalla parte principale di se stesso, che è lo spirito, l’uomo è chiamato a qualcosa di meglio di una vita puramente umana». Scriveva così J. Maritain, nella sua grande opera che porta significativamente il titolo di Umanesimo integrale, pubblicata nel 1936. La domanda di fondo che guidava Maritain in quegli anni riguardava proprio ciò che realizza pienamente una persona.

Oggi, ancor più che negli anni ’30, siamo indotti a pensare all’uomo solo alla luce dei suoi bisogni fisici, delle sue soddisfazioni personali, eppure è sempre più chiaro che se non curiamo quella parte più profonda e propria dell’essere umano, che è il suo spirito, egli rimane sempre infelice.

Vivere o sopravvivere?

Ce ne siamo accorti anche in questi mesi, dove la pandemia ci ha impedito di accompagnare i nostri cari nella loro morte, ci ha allontanato dai nostri affetti, ci è stata tolta persino la possibilità di partecipare all’Eucaristia. Paradossalmente, abbiamo sperimentato solo adesso quel vuoto che ci fa comprendere ciò senza cui non possiamo vivere.

Vivere qui vuol dire vivere pienamente, perché abbiamo anche sperimentato che si può semplicemente sopravvivere, ci si può accontentare, senza farsi troppe domande. Ma questa differenza tra sopravvivere e vivere pienamente ci può far comprendere meglio le parole di Gesù sul pane, sulla sua carne e sul suo sangue, con cui vuole nutrirci. La carne e il sangue indicano chiaramente la vita di una persona: Gesù vuole nutrirci della relazione con lui. E se abbiamo fatto esperienza di come le relazioni possono cambiare la qualità della nostra vita, possiamo assaporare forse cosa significa vivere nella relazione con Gesù attraverso l’Eucaristia.

Il cammino della vita

Lungo il cammino della vita ci nutriamo di tante cose, altre volte invece sperimentiamo la fame perché non troviamo quello che cerchiamo. Anche il libro del Deuteronomio al cap. 8 ci presenta la vita come un viaggio attraverso il deserto, un viaggio però che non è un vagabondare, ma un pellegrinaggio, cioè un cammino verso una meta. Si tratta infatti del cammino attraverso cui Israele cerca la terra che Dio gli ha indicato, una terra, che costituisce il luogo della relazione con Lui, una terra nella quale non sopravvivere da schiavo, ma essere una persona libera e profondamente amata.

Quel cammino diventa emblematico per Israele, ma diventa anche il paradigma del cammino di ogni uomo. Se infatti rileggiamo quel testo, ci accorgiamo come ciascuno di noi possa ritrovarsi in quegli elementi che accompagnano il viaggio di Israele. Si tratta anzitutto di un viaggio che dura quarant’anni ovvero una vita intera, un viaggio durante il quale capita di essere umiliati e messi alla prova: umiliati perché ci rendiamo conto di non avere le forze per camminare da soli, messi alla prova perché gli eventi della vita ci svelano, ci conosciamo e siamo conosciuti attraverso le scelte che operiamo, attraverso le nostre reazioni. Quello che ci portiamo nel cuore, nel bene e nel male, non resta mai nascosto.

Di cosa ho fame?

La fame è la compagna di ogni cammino. E molto spesso la fame è accompagnata dalla paura di non trovare un cibo adeguato. La nostra vita dipende da come abbiamo gestito questa fame: alcuni mangiano quello che capita, altri non distinguono quello che nutre da quello che avvelena, altri ancora preferiscono andare a caccia da soli, altri si propongono di condividere anche il poco che hanno. La vita spirituale in fondo consiste nell’accorgersi che Dio stava già provvedendo alla nostra fame e che non ci ha mai lasciato senza cibo. Al contrario, il peccato è illudersi che quello che ho me lo sono procurato da solo, con i miei sforzi e la mia astuzia. Proprio per questo il peccato non ci permette di accedere all’Eucaristia perché non ci apre alla relazione con Dio. Ci fa sentire autosufficienti.

Dichiarazione d’amore

Ricevere il corpo di Cristo richiede un passaggio fondamentale, esige di prendere consapevolezza della propria fame più profonda. Occorre rendersi conto che sopravvivere non basta, perché la nostra parte più profonda e vera trova risposta solo nella relazione più intima e autentica che l’essere umano possa vivere, la relazione con Dio in Gesù Cristo.

L’Eucaristia è la dichiarazione d’amore di Dio per ogni uomo, perché in essa Egli dice che vuole nutrirci con la sua vita, vuole darsi a noi corpo e sangue, cioè con tutta la sua persona. È un atto coraggioso, perché Dio si espone anche al rifiuto. Come ogni vero amante ci lascia nella libertà di accogliere o meno il suo dono. E forse molte persone lo rifiuteranno, perché si sazieranno di cibi così superficiali e poveri da non rendersi più conto di cosa hanno fame veramente.

 

Il vangelo in poche parole


«Se dall'eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà la voglia dell'inedito, allora sono eucaristie che non dicono niente. Se dall'eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti l'audacia dello Spirito Santo, la voglia di scoprire l'inedito che c'è ancora nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l'eucaristia. Questo è l'inedito nostro: la piazza. Lì ci dovrebbe sbattere il Signore, con una audacia nuova, con un coraggio nuovo. Ci dovrebbe portare là dove la gente soffre oggi. La Messa ci dovrebbe scaraventare fuori. Anziché dire la messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Che’ se vai a Messa finisce la tua pace».

Don Tonino Bello



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13/06/2020 Categoria: Torna all'elenco