Il silenzio di Dio
Uno
dei grandi drammi che il credente deve affrontare è l’esperienza di non
sentirsi ascoltato da Dio. Ci sono desideri che portiamo davanti al
Signore e che non trovano risposta. La fede si trova messa alla prova.
Questo silenzio diventa spesso il passaggio provvidenziale che ci mette
davanti all’identità di Dio. Siamo costretti a chiederci quale idea ci
siamo fatti di Dio, cosa ci aspettiamo da Lui. E solo in questo modo un
cammino spirituale può inoltrarsi sui sentieri della verità. La
delusione spezza il gioco della fantasia e ci costringe a interrogarci
sui veri motivi che ci spingono a seguire il Signore.
Questa delusione è ancora più forte quando ci sentiamo meritevoli di
una ricompensa. Perciò, soprattutto chi percorre un cammino esemplare, è
maggiormente esposto alla delusione di pensare che Dio sia sordo alle
sue richieste o addirittura che Dio sia talmente sadico da godere della
delusione di chi fino a quel momento l’ha pregato intensamente.
Davanti a Dio viene meno ogni pretesa e non arriveremo mai a essere
veramente discepoli se non entreremo nella logica della gratuità. Chi si
fida non pretende. Chi si fida lascia che l’altro decida come
rispondere. Se mi fido, metto nelle tue mani il mio desiderio anche se
ora non capisco come troverai il modo di rispondere alla mia domanda.
Servire gratuitamente
In
questo modo diventeremo servi che non cercano il loro utile, ovvero
servi in-utili. Il servo inutile di cui parla Gesù è colui che è entrato
in questa logica di gratuità. Non vede nel padrone l’uomo spietato che
vuole trovare il modo di punire e umiliare, ma colui che provvede al
necessario. Ecco, perché la gratuità esprime un certo modo di vivere la
relazione con Dio. Se invece cerchiamo il nostro utile, vuol dire che
abbiamo una concezione di Dio che nasconde un’idea distorta: sentiamo
Dio come colui che deve darci il salario per il nostro lavoro.
Se viviamo la gratuità, la relazione con Dio diventa una relazione
d’amore, in cui ciascuno si dona per il bene dell’altro.
Il rischio del potere
Forse
proiettiamo su Dio quelle relazioni di potere che si creano tra noi.
Relazioni che spesso diventano spietate. Mi è capitato più volte di
vedere come chi arriva a conquistare un pezzo di potere, anche piccolo,
ne venga trasformato. Il potere ci trasforma, ci fa sentire onnipotenti,
sentiamo il gusto perverso di avere l’altro in pugno. Sebbene tutti
siamo nelle mani di Dio, egli non è così!
Doveva essere più o meno questa la situazione anche nella prima
comunità cristiana. Le parole di Gesù vengono ricordate da Luca
probabilmente proprio per ammonire coloro che avevano ruoli di
responsabilità nella comunità. Gesù fa riferimento infatti a un padrone
che ha un servo ad arare o a pascolare il gregge. Arare e pascolare sono
verbi che richiamano due azioni del discepolo: arare ricorda l’immagine
del seminatore, colui che prepara il terreno. È simbolicamente l’azione
di chi è inviato a evangelizzare, a gettare cioè il seme della parola.
Pascolare il gregge è invece l’immagine di chi è deputato a custodire
e accompagnare il gregge, è l’immagine del governare, di chi ha la
responsabilità di prendersi cura della comunità.
Ecco, coloro che hanno ricevuto da Dio questo compito, possono essere
presi dalla tentazione di pretendere di essere ri-pagati. E qui emerge
l’idea che hanno del loro padrone, di colui che li ha inviati e ha
affidato loro questo compito, l’idea cioè che hanno di Dio.
Fare i conti con Dio
Il
servo autentico, il vero discepolo, chiamato a evangelizzare o a
governare, è colui che entra nella relazione di amore gratuito con Dio.
Solo in questo modo può crescere nella fede. La disponibilità a vivere
questa relazione in maniera gratuita è la condizione necessaria affinché
la fede possa crescere. D’altro canto, se pretendiamo di fare i conti
con Dio, ci accorgeremo che siamo sempre in debito. Ci conviene dunque
uscire da una visione economica della relazione con Lui. E solo così
cominceremo ad avere veramente fede.
Il vangelo in poche parole