Celebrare la festività del Corpus Domini significa verificare e rafforzare la nostra fede nella presenza reale del Signore nell'Eucaristia e, come ci ricorda l'apostolo Paolo, renderci responsabili di come la riceviamo.
"Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?
E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di
Cristo?". Queste poche righe fanno parte di un richiamo severo di san
Paolo, preoccupato che i cristiani potessero confondere la cena di Gesù,
con i banchetti sacrificali pagani. In quel tempo l'Eucaristia (la
frazione del pane) veniva celebrata all'interno di un vero e proprio
pasto comunitario, perciò la confusione poteva essere facile. La
preoccupazione dell'apostolo e la severità del suo intervento ci
autorizzano, in effetti, a pensare che il rischio fosse molto alto.
Questo brano, però, non ci viene proclamato per conoscere meglio la
storia della Chiesa, perché, come ci ripetiamo continuamente e come non
dobbiamo mai dimenticare, la Parola proclamata durante l'Eucaristia non è
per l'erudizione, ma per la conversione.
Domandiamoci, perciò: il richiamo di Paolo vale anche per noi cristiani di oggi? Purtroppo la risposta è sì.
Non perché ci siano in giro i banchetti sacrificali degli antichi
pagani (anche se con tutti i pazzi che ci sono in giro...), ma perché
sono tantissimi i raduni amicali e conviviali con i quali la Messa può
essere confusa. Questo può accadere quando ciò che ci riunisce e ciò che
si cerca nella celebrazione eucaristica non è la profonda comunione con
il Cristo risorto, ma l'amicizia tra i partecipanti, per cui preghiere,
canti, segni, gesti non spingono verso l'alto, ma verso gli amici. In
questo caso, il pane disceso dal cielo sta sull'altare, ma diventa una specie di pretesto per il nostro stare insieme.
Dobbiamo essere vigili, perché strumentalizzare le parole di Gesù:
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio
sangue vera bevanda", fa venire in mente quell'avvertimento terribile:
"Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai
porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per
sbranarvi" (Mt 7,6).
La strada per evitare questa deriva la offre san Paolo con quel "noi": "noi benediciamo, noi spezziamo". L'apostolo non sta adoperando il plurale maiestatis,
ma un soggetto plurale per affermare che la celebrazione eucaristica
non è un'azione del sacerdote alla quale i fedeli assistono, ma di tutti
i presenti con il sacerdote che presiede. Senza di lui non ci può
essere Messa, come senza i fedeli: il sacerdote, infatti, non può
celebrare la Messa da solo, salvo permessi per particolarissime
circostanze.
Con il tempo, purtroppo, si può dire da quanto la gente ha smesso di
capire il latino, la Messa era diventata una specie di spettacolo sacro a
cui la gente assisteva, ascoltava. Con la riforma liturgica del
Concilio Vaticano II si è cercato di correggere questa deformazione, ma,
per farlo, non sempre si è partiti dall'essenziale: la fede nella presenza reale del Signore,
bensì dai rituali esteriori, con il rischio di scambiare la
partecipazione con l'agitazione, e la "comunione con il corpo e sangue
di Cristo" con la comunione tra i partecipanti. A riprova, tante
stranezze (preti che cantano e ballano intorno all'altare...) finite
propagandate dai media e, soprattutto, l'accostarsi alla comunione senza un serio esame della propria coscienza, come se prendere l'ostia consacrata sia uno dei tanti gesti per animare l'assemblea.
Sarà bene tenere sempre davanti agli occhi il severissimo monito di
Paolo: "Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia
e beve la propria condanna" (1Cor 12,29). Per evitare questo, sacerdoti
e laici dobbiamo impegnarsi a rafforzare la fede nelle parole di Gesù: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
Senza la fede in queste parole, canti e balli e applausi non servono a
niente. Sono come "le grida, i saltelli, le incisioni" dei sacerdoti di
Baal sul monte Carmelo: non ottengono dal cielo "né voce né risposta né
un segno d'attenzione" (1Re 18,25-29).