Nella Bibbia si parla spesso di vigna, di viti, di vignaioli, di uva, di vino, di festa.
Perché produrre il vino, lo sappiamo bene noi italiani, è qualcosa di complesso, delicato, una vera e proprio arte.
Possedere una vigna, coltivarla, era una delle attività dei contemporanei di Gesù.
E, in diversi racconti bilici, l’immagine della vigna descrive il popolo di Israele.
Israele è la vigna piantata con cura e perizia dal vignaiolo, Dio,
che si aspetta, ovviamente, dopo tanta fatica, di poterne ottenere un
vino delicato e sincero.
E da questa immagine sono nate molte pagine straordinarie, dolenti,
lamenti dei profeti che, per conto e in nome di Dio, si lamentavano con
Israele, la vigna, di non portare i frutti sperati.
Ma qui, oggi, Gesù spinge la metafora, vi apporta una novità potente e densa di significato.
Non solo più Dio è descritto come vignaiolo e Israele come la vigna da lui piantata e accudita.
Gesù paragona se stesso ad una vite.
Una vite cui sono legati i tralci, i discepoli, noi, che ricevono dalle radici linfa vitale per portare frutto.
È un salto di qualità nella comprensione di Dio che solo Gesù poteva spiegarci.
Non più un contadino e il frutto della sua fatica.
Ma il contadino che diventa albero. Vite, in questo caso.
Il creatore diventa creatura.
L’immagine non parla più soltanto dello stretto legame fra lavoro e prodotto della fatica e del sudore.
Gesù stesso si identifica nella vite.
Non esiste una vite senza tralci. Non esiste un tralcio senza vite.
Rimanete
Come può un tralcio vivere senza essere intimamente legato al ceppo?
Come può nutrirsi se è staccato dalla vite che lo genera? Che lo
attraversa con la sua linfa vitale come un sangue che scorre nelle vene?
Ecco allora l’invito che il risorto rivolge a ciascuno di noi: rimanete.
Dimorate.
Restate.
Se in qualche modo siamo stati sedotti dal Vangelo, se abbiamo fatto
esperienza di Cristo nella nostra vita, se il risorto è più di un
ricordo, di un fantasma, se abbiamo visto e creduto, se la nostra mente
si è aperta all’intelligenza delle Scritture, se lo abbiamo riconosciuto
nello spezzare del pane, delle ferite condivise, nella voce che ci
chiama con amore a autorevolezza, allora sappiamo che senza Cristo non
possiamo fare niente.
Non possiamo fare più niente.
Perché la sua Parola ha spalancato il nostro cuore, illuminato la
nostra anima. Ora vediamo. Capiamo. Sappiamo. E se restiamo uniti a Lui,
se siamo intimamente collegati, connessi, allora da lui riceviamo la
linfa che ci fa vivere, non soltanto esiste.
La nostra vita quotidiana, fatta di mille o di poche cose, di lavoro,
di attese, di relazioni, di fatica, di luci e di ombre, acquista uno
spessore diverso.
E sperimentiamo, davvero, sul serio, nella verità che risuona dentro
di noi, che quando ci allontaniamo da Cristo inaridiamo, sopravviviamo,
ma non portiamo nessun frutto. Nessuno.
Non potete fare nulla
Non è una minaccia, ma una descrizione della realtà più semplice ed ovvia: senza Cristo non possiamo fare nulla.
Sì certo: ci affatichiamo, otteniamo successi lavorativi, forse, realizziamo i nostri desideri.
Ma tutto è nulla.
Perché sfugge alla logica dell’anima, della nostra missione.
Perché appartiene alle cose fuori. Belle, dignitose, importanti, gratificanti.
Ma fuori.
Entrare nel pensiero di Cristo, nella logica dell’amore e dell’amare,
entrare nella logica del discernimento del sapere, del vedere con lo
sguardo dello Spirito, restare intimamente uniti, lasciar scorrere la
sua linfa in noi, ci aiuta a portare frutto.
Frutto che non è il risultato di uno sforzo, ma la fioritura di una vita.
Le parole che rimangono
Bene sì, bello, affasciante, poetico.
Ma come questo avviene?
È Gesù che ce lo dice: custodendo, meditando, pregando la Parola.
Molti sono i modi per restare innestati a lui: la vita interiore, la comunità, i segni della sua presenza che sono i sacramenti.
Ma qui, in questo Vangelo, Gesù parla della sua Parola.
Accolta ogni giorno, ogni domenica, come si accoglie una linfa vitale.
Una Parola che ci svela una verità inattesa: il Padre è felice quando
portiamo molto frutto, quando siamo discepoli. Dio è glorificato quando
siamo felici, quando la nostra vita cambia e lascia spazio all’inaudito
d Dio.
Ecco, amici.
Dimoriamo.
Il vangelo in poche parole