Domenica scorsa abbiamo iniziato a leggere il racconto della “giornata di Cafarnao” (cf. Mc 1,21-34),
esempio concreto di come Gesù viveva, parlando del regno di Dio e
compiendo segni che lo annunciavano. E oggi il racconto continua…
Gesù e i suoi primi quattro discepoli, usciti dalla sinagoga, vanno a
casa di due di loro, Pietro e Andrea. Come c’era una dimensione
pubblica della vita di Gesù, così ce n’era anche una privata: la vita
vissuta con i suoi discepoli, o con i suoi amici, la vita in casa, dove
si parlava, ci si ascoltava, si mangiava insieme e ci si riposava. Anche
queste sono dimensioni umane della vita di Gesù, alle quali purtroppo
facilmente non prestiamo attenzione, eppure fanno parte della realtà,
del mestiere del vivere quotidiano… Così come ci si dimentica che
Pietro, avendo una suocera, non era celibe ma sposato, anche se non
abbiamo notizie più precise: aveva figli? Era vedovo? Certamente
l’incontro con Gesù ha mutato la vita del pescatore Simone, che
significativamente dirà in seguito a Gesù: “Noi abbiamo lasciato tutto e
ti abbiamo seguito” (Mc 10,28).
Ora, entrati in casa di Pietro e Andrea, si accorgono che nessuno li
accoglie: dovrebbe essere compito della suocera di Pietro, ma una febbre
la tiene a letto. La febbre è un’indisposizione che accade sovente, e
non è certo grave o preoccupante. Gesù, informato della cosa, si
avvicina a questa donna allettata, la prende per mano e la fa alzare.
Egli vuole incontrarla e, non appena le è vicino, senza dire una parola
compie gesti semplici, umanissimi, affettuosi: prende nella sua mano
quella mano febbricitante, attua una relazione carica di affetto, e
quindi con forza la aiuta ad alzarsi. Questi sono i gesti di Gesù che
guariscono: non gesti di un guaritore di professione, non gesti medici,
né tantomeno gesti magici. Se siamo attenti comprendiamo che,
sull’esempio di Gesù, a un malato dobbiamo soprattutto avvicinarci,
renderci prossimi, toglierlo dal suo isolamento, prendendo la sua mano
nella nostra, in un contatto fisico che gli dica la nostra presenza
reale, e infine fare qualcosa perché l’altro si rialzi dal suo stato di
prostrazione.
Questa azione con cui Gesù libera la donna dalla febbre può sembrare
poca cosa (“un miracolo sprecato”, ha scritto un esegeta!), ma la febbre
è il segno più comune che ci mostra la nostra fragilità e ci
preannuncia la morte di cui ogni malattia è indizio. Sì, Gesù è sempre
all’opera verso i nostri corpi e le nostre vite e sempre discerne, anche
dove c’è soltanto la febbre, che l’essere umano si ammala per morire,
che qualunque malattia è una contraddizione alla vita piena voluta dal
Signore per ciascuno di noi. Non fermiamoci dunque alla cronaca
dell’azione di Gesù, ma comprendiamo come egli, il Veniente con il suo
Regno, è in lotta contro il male, lo fa arretrare, fino a vincere la
morte il cui re è il demonio, colui che dà la morte e non la vita.
Gesù appare così come colui che fa rialzare, risuscita – verbo egheíro, usato per la resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,41) e per la stessa resurrezione di Gesù (cf. Mc 14,28; 16,6)
– ogni uomo, ogni donna dalla situazione di male in cui giace. Egli dà
“i segni” del regno di Dio veniente, dove “non ci sarà più la morte, né
il lutto, né il lamento, né il dolore, quando Dio asciugherà le lacrime
dai nostri occhi” (cf. Ap 21,4; Is 25,8). Quando Gesù guarisce concretamente, narra Dio come Rapha’el, “colui che guarisce” (cf. Es 15,26) e appare come il medico dei corpi e delle anime (cf. Mc 2,17).
Ciò che è messo in rilievo come frutto di quel “far rialzare” da parte di Gesù è l’immediato servizio, la pronta diakonía
da parte della suocera di Pietro. Rialzati dal male, a noi spetta il
servizio verso gli altri, perché servire l’altro, avere cura dell’altro è
vivere l’amore verso di lui: l’amore dell’altro è il volere e il
realizzare il suo bene. Nel caso presente questa donna, ormai in piedi,
offre da mangiare a Gesù e ai suoi discepoli, servendo chi l’ha servita
fino a liberarla dalla sua malattia.
Giunge la sera, la giornata descritta da Marco come la prima in cui
Gesù opera è quasi terminata, ma ecco che da tutta la città vengono
portati malati e indemoniati davanti alla porta della casa in cui egli
si trova. Con enfasi l’evangelista scrive “tutti i malati … tutta la
città”, perché l’afflusso era considerevole. Cosa cercava tutta quella
gente? Innanzitutto guarigione, ma certamente desiderava anche vedere
miracoli: la medicina era troppo cara, spesso senza efficacia, e poi in
quel tempo c’erano molti esorcisti, guaritori, maghi, da cui la gente si
recava. Quelli venuti da Gesù non trovano però né un mago né un
operatore di miracoli. Trovano uno che guarisce chi incontra, parlando,
entrando in relazione, ma soprattutto suscitando nei malati
fede-fiducia: e quando Gesù trova questa fiducia, allora può
manifestarsi la vita più forte della morte.
Gesù non guariva tutti ma – ci dicono i vangeli – curava tutti quelli
che incontrava, e le sue liberazioni dalla malattia, dal peccato o dal
demonio volevano essere segni, indicazioni riguardo al regno di Dio che
egli annunciava e chiedeva di accogliere. Come interpreta Matteo a
margine di questo brano, egli si manifesta come il Servo del Signore che
“ha preso le nostre debolezze e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17; Is 53,4).
Gesù combatte le malattie per far arretrare la potenza del male e del
demonio, ma ciò avviene al prezzo di caricarsi lui stesso delle
sofferenze che cerca di sconfiggere! Sintetizzerà Pietro in una
predicazione riportata dagli Atti degli apostoli: “Gesù di Nazaret passò
facendo il bene e guarendo tutti coloro che stavano sotto il potere del
diavolo” (At 10,38), perché ogni situazione di lontananza da Dio e di dominio della morte è dovuta all’azione del demonio
Viene la notte, ma anche questa è fatta per operare: prima dell’alba
Gesù esce di casa, va in un luogo solitario e là prega. È la sua
preghiera del mattino, preghiera che attende il sorgere del sole
invocando il Signore e lodandolo per la luce che vince la notte. Questa
azione notturna di Gesù non è secondaria, non è una semplice appendice
al giorno. È la fonte del suo parlare e del suo agire, è l’inizio del
suo “ritmo” giornaliero, è ciò che gli dà la postura per vivere tutta la
giornata nella compagnia degli uomini: perché egli è sempre l’inviato
di Dio, colui che deve sempre “raccontarlo” (cf. Gv 1,18) agli uomini, e per questo è sempre in comunione con lui.
La preghiera di Gesù nella notte, in luoghi deserti, nella
solitudine, è testimoniata più volte dai vangeli, fino a quella
preghiera con cui prepara spiritualmente la sua passione e morte.
Preghiera piena di confidenza, in cui Dio è sempre invocato come “Abba,
Papà caro e amato”; preghiera nella quale Gesù discerne la volontà di
questo Padre che è amore e trova vie per realizzarla; preghiera nella
quale lo Spirito santo, compagno inseparabile di Gesù, è per lui forza e
consolazione. La veglia, la preghiera notturna che è operazione di
tutto il corpo e non solo delle facoltà mentali, è decisiva nella vita
del cristiano, il quale non deve mai dimenticare questa “attività”, vera
e propria azione di Gesù.
Ma i primi discepoli, la piccola comunità appena formata, su
iniziativa di Simone cerca Gesù, e in questo “cercare Gesù” vi è molto
più di una ricerca volta a conoscere dove egli sia. In realtà il quaerere Deum nel vangelo secondo Marco diventa quaerere Jesum,
cercare Gesù. E quando lo trovano, significativamente intento a
pregare, gli dicono: “Tutti ti cercano!”. Quasi lo inseguono, ma per che
cosa? Qui è testimoniato il desiderio di vedere, ascoltare, incontrare,
chiedere guarigioni, invocare liberazione dal demonio. “Tutti ti
cercano!”, dicono i discepoli; secondo il quarto vangelo saranno
addirittura i pagani a dire: “Vogliamo vedere Gesù!” (Gv 12,21)…
Ma Gesù risponde: “Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io
predichi anche là; per questo, infatti, sono uscito”. È ora di andare,
di continuare la missione insieme in altri villaggi non ancora raggiunti
dalla buona notizia, dal Vangelo del Regno. Ma il fondamento di tutta
questa missione – “per questo sono uscito” – resta un’espressione
ambigua: uscito dalla città nella notte, oppure uscito da Dio, dal
Padre, come intenderemmo se questa espressione fosse attestata dal
quarto vangelo? Ecco la missione di Gesù: è mandato dal Padre ed è
uscito nel mondo per fare il bene e donare la salvezza. E così di
villaggio in villaggio, il sabato di sinagoga in sinagoga, Gesù
predicava e toglieva terreno ai demoni. Da Cafarnao a tutta la Galilea…
Il vangelo in poche parole