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La Parola è la mia casa: A mani vuote (V dom TO anno C)

La Parola è la mia casa: A mani vuote (V dom TO anno C)

I testi della liturgia del 10 febbraio da www.chiesacattolica.it

Il commento alle letture
(da www.lpj.org)

A mani vuote

di mons. Pierbattista Pizzaballa

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All’inizio di questo brano (Lc 5,1-11), vediamo Gesù accostarsi a due barche, sulla riva del lago di Tiberiade. Una di queste barche, quella su cui Gesù sale, appartiene a Pietro, e poco più avanti, al v.5, veniamo a sapere che lui e i suoi compagni hanno faticato tutta la notte, senza prendere nulla.

Gesù dunque si avvicina ed entra nella vita di questo gruppetto di uomini che ha appena fatto un’esperienza cocente di smacco, di frustrazione, di fallimento.

Alla fine del brano, troviamo ancora questo stesso gruppetto di uomini, e anche questa volta li troviamo a mani vuote. Non però perché non abbiano preso nulla: al contrario, il brano ci racconta che nel frattempo hanno fatto una pesca abbondantissima (Lc 5,6). Li troviamo a mani vuote non dunque perché il loro lavoro è stato infruttuoso, ma perché hanno lasciato tutto ciò che hanno pescato.

Li troviamo dunque in una situazione per certi aspetti analoga all’inizio, ma per altri completamente diversa.

Cos’è successo a questi uomini?

Mi sembra che Pietro e i suoi compagni abbiano fatto un’esperienza fondamentale, quella di fidarsi.

Non avevano preso nulla, se ne stavano andando via stanchi e presumibilmente amareggiati; e accettano di ricominciare, di provare di nuovo non in forza di chissà quale nuovo elemento favorevole, che avrebbe potuto garantire loro la riuscita dei loro sforzi; si sono fidati semplicemente della parola di questo rabbi, maestro (Lc 5,5) che stava insegnando proprio lì vicino a loro, che lì, vicino a loro, aveva trasformato la loro barca vuota in un pulpito da cui insegnare alla gente.

Pietro e i suoi compagni fanno esperienza che vale la pena fidarsi di quel maestro che sa cosa dice: la nuova pesca è infatti così fruttuosa che una barca non basta per portare a riva tutti i pesci pescati (Lc 5,7).

La reazione di Pietro è molto importante. Riconosce che è accaduto qualcosa di eccezionale, di miracoloso, e quindi intuisce di aver davanti una persona speciale, un profeta, un inviato da Dio; e proprio per questo prende le distanze.

Fa quello che ogni uomo farebbe di fronte all’avvicinarsi di Dio: si sente indegno, si riconosce peccatore, ha paura, non può pensare che il Signore gli si avvicini (Lc 5,8)

Ma è proprio qui che accade la trasformazione, perché lì dove l’uomo sperimenta e riconosce la propria lontananza da Dio, la propria indegnità, proprio lì Lui viene.

Gesù ribalta quella logica religiosa di separazione e di lontananza, che vuole che i due mondi, quello sacro e quello profano, rimangano distinti e lontani. Lui è venuto proprio per abolire questa distanza, per cui non solo non si allontana di fronte a Pietro peccatore, ma proprio perché Pietro è peccatore, Lui gli si avvicina.

E Pietro si fida di questa parola, proprio come prima si era fidato della parola che lo invitava a ricominciare la fatica della pesca. Sa che questo fidarsi è per la vita e per una vita piena.

Chi ha fatto nella sua vita questa esperienza, allora lascia tutto, e diventa un evangelista: ha qualcosa da annunciare, qualcosa che lui per primo ha vissuto, sulla sua pelle; può annunciare che Dio si è fatto vicino, che ha abolito le distanze, che è venuto per incontrare ogni uomo peccatore.

Come Gesù è salito sulla barca vuota di Pietro per annunciare la salvezza a tutti, così Pietro e i suoi compagni partiranno proprio da lì per condividere con gli uomini questo annuncio di salvezza.

Allora possiamo dire che Gesù si avvicina a Pietro e ai suoi compagni, e questo opera in loro una trasformazione: dall’essere dei falliti all’essere degli uomini liberi.

Dall’essere persone che quotidianamente fanno esperienza che le forze umane non bastano per avere la vita, all’essere persone che hanno incontrato la vera vita, per cui possono lasciare tutto il resto, e stare con il Signore.

Entrambi, gente fallita e uomini liberi, hanno le mani vuote. Ma i secondi le hanno vuote perché hanno lasciato andare una logica di guadagno e di possesso per entrare in una nuova ottica, quella della gratuità e del dono.

E possiamo anche dire che, non si sa bene perché, ma sembra che il momento migliore per conoscere il Signore è quello del fallimento, della fatica, dello smacco: lì dove cadono le nostre resistenze e le nostre superbie, allora lì il Signore può avvicinarsi, e dirci che questa sua vicinanza è un dono gratuito che ci raggiunge lì dove può usarci misericordia.

Il vangelo in poche parole


«Mai le reti di Pietro potrebbero essere quelle della costrizione che soffocherebbe la libertà. Gesù propone sempre, non impone mai. Certo, ciò che propone è vincolante, ma questa costrizione ognuno può rifiutarla o accettarla. “Se uno vuole seguirmi … Se vuol essere perfetto”. Il regime cristiano comincia con la libertà, e nella misura in cui è fedele a se stesso non la rifiuta mai … Dovrebbe essere vero anche oggi. Infatti, la libertà della fede si tiene lontano sia dal dogmatismo della tradizione che dal dogmatismo del progresso, nel quale si è costretti in altro modo ad allinearsi su un sistema prefabbricato. La Chiesa è se stessa solo se è libera, poiché vive dello Spirito Santo. Essa deve dare il meglio di sé ed è proprio per questo che ha bisogno di essere libera … Il modo di agire degli uomini è la sicurezza garantita, l’allineamento sistematico, la costrizione della forza. Il modo di agire di Dio è il rischio della nostra libertà».

Th. Dagonet

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09/02/2019 Categoria: Torna all'elenco