Con questa domenica riprendiamo la lettura cursiva del vangelo
secondo Matteo, esattamente dal capitolo decimo, che contiene il
discorso di Gesù sulla missione dei discepoli nel mondo. È un discorso
che si indirizza, al di là del tempo in cui è stato pronunciato e messo
per iscritto, a tutti coloro che sono chiamati al servizio di Gesù
Cristo e del suo regno; un discorso che risente dell’esperienza dei
dodici apostoli in missione tra i figli di Israele e dei missionari
della chiesa di Matteo nei decenni precedenti l’80 d.C.
Gesù invia i discepoli “tra le pecore perdute della casa d’Israele” e
consegna loro il messaggio da annunciare, l’azione da compiere e lo
stile del comportamento (cf. Mt 10,5-15). Poi annuncia le persecuzioni che gli inviati dovranno sopportare nella missione (cf. Mt 10,16-23)
e con autorevolezza e chiaroveggenza profetica dice loro: “Un discepolo
non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore;
è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il
servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebul il padrone di
casa, quanto più quelli della sua famiglia!” (Mt 10,24-25).
Ovvero, ciò che Gesù ha vissuto, sarà vissuto anche dai suoi inviati,
che verranno chiamati diavoli, al servizio del capo dei demoni,
Beelzebul, e verranno perseguitati fino a essere uccisi da chi crede di
dare in questo modo gloria a Dio (cf. Gv 16,2).
Dunque? Occorre avere coraggio, lottare contro la paura, non temere
mai. Questo è il messaggio della pericope di oggi, che Gesù consegna
come comando per ben tre volte: “Non temete!” (vv. 26.28.31). Nelle
sante Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento questo invito-comando
è la parola indirizzata da Dio quando si manifesta e parla a quanti
egli chiama: così ad Abramo, a Mosè, ai profeti, a Maria, la madre di
Gesù… “Non temere!” cioè “non avere paura della presenza del Dio tre
volte santo, ma abbi solo timore, ossia capacità di discernere la sua
presenza, e quindi non avere mai paura degli uomini, anche quando sono
nemici. Non avere mai paura, ma vinci la paura con la fiducia nel
Signore fedele, sempre vicino, accanto al credente, e sempre fedele,
anche quando sembra assente o inerte”. La paura è un sentimento umano
grazie al quale impariamo a vivere nel mondo, facendo attenzione a dove
vi sono il pericolo o la minaccia; ma per chi ha fede salda nel Signore,
la paura deve essere vinta, non deve diventare determinante nel
rapporto con il Signore e con la sua volontà.
Nel vivere il Vangelo e nell’annunciarlo alle genti, i discepoli di
Gesù incontrano diffidenza, chiusura, ostilità e rifiuto. In queste
situazioni la tentazione è tacere la speranza che abita il proprio
cuore, restare silenti e nascondere la propria identità, magari fino a
fuggire. Ma Gesù avverte: il tempo della missione è un tempo di
apocalisse, non nel senso catastrofico solitamente attribuito a questo
termine, ma nel senso etimologico di ri-velazione, di alzata del velo.
L’annuncio del Vangelo, infatti, richiede che ciò che Gesù ha detto
nell’intimità sia proclamato in pieno giorno, ciò che è stato detto
nell’orecchio sia gridato sui tetti. C’è stato un nascondimento di
“verità”, avvenuto non per dimenticare o seppellire ma per rivelare nel
tempo opportuno ciò che era stato nascosto: “Nulla vi è di nascosto
(verbo kalýpto) che non sarà ri-velato (verbo apokalýpto) né di segreto (kryptós) che non sarà conosciuto (verbo ghinósko)” (v. 26). Le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (cf. Mt 13,35; Sal 78,2) sono rivelate da Gesù e poi dai discepoli nella storia.
D’altronde, i veri nemici dei discepoli non sono quelli di fuori ma
quelli di dentro, quelle tentazioni che nascono dal cuore, quegli
atteggiamenti idolatrici ai quali la comunità cristiana cede. I nemici
di fuori, in realtà, sono occasioni per mettere in pratica il Vangelo,
per mostrare la propria fede e la propria fedeltà al regno di Dio.
Annunciare la parola di Dio è un compito che trascende il discepolo, la
discepola: chi assume tale compito sa che la sua vita è posta sotto una
forza che viene da Dio, sa che non può sottrarsi alla vocazione
affidatagli, ma deve lottare per farla risplendere, combattendo
l’idolatria che lo seduce. E la parola che proclama è dýnamis (cf. Rm 1,16), è forza che attraversa la storia umana senza impedimenti, in una sorta di corsa (cf. 2Ts 3,1)…
Si tratta dunque di non temere quelli che uccidono il corpo, che
interrompono la vita terrestre, ma in verità non possono togliere la
vera vita. L’unico “timore” – nel senso che si diceva – da avere è
quello verso il Signore, perché lui solo può decidere della vita
terrestre e di quella vera. La vita, infatti, può essere vissuta come
umanizzazione, conformemente alla volontà del Creatore, oppure essere
segnata da scelte mortifere, che possono solo condurre alla rovina: per
esprimere questo secondo esito Gesù si riferisce metaforicamente alla
Gehenna, la valle che raccoglieva la spazzatura di Gerusalemme.
Di seguito Gesù eleva lo sguardo verso il suo Dio, il suo Abba,
Padre, e testimonia tutta la potenza con cui egli si prende cura delle
sue creature, le salva, non abbandonando mai chi ha fede in lui. Cosa
sono due passeri? Queste creature piccole, che abitano a centinaia sui
tetti, sembrano a noi creature insignificanti, che non meritano
attenzione né cura, eppure non è così per Dio! E qui si faccia
attenzione. Nella Bibbia italiana la traduzione delle parole di Gesù
suona: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno
uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro”. E invece occorre rendere, alla lettera: “… senza il Padre vostro”.
Ovvero, neppure un passero, cadendo a terra, è abbandonato da Dio: non
cade a terra perché Dio l’ha voluto (fatalismo tipicamente pagano), ma
anche quando cade a terra non è abbandonato dal Padre! Allo stesso modo,
anche i capelli della nostra testa, che perdiamo ogni giorno senza
accorgercene, sono tutti contati, tutti sotto lo sguardo di Dio. Da una
tale contemplazione nasce la fiducia che scaccia il timore: Dio vede
come ci vede un padre, che ci guarda sempre con amore e non ci abbandona
mai, neanche quando cadiamo.
I discepoli di Gesù, ben più preziosi agli occhi di Dio dei passeri e
dei capelli della testa, possono essere perseguitati e messi a morte,
ma anche nella loro morte il Padre è là, nelle loro tentazioni il
Signore è là, nelle loro sofferenze è Cristo a soffrire. La comunione
con il Signore non può essere spezzata se non da noi stessi, mai dagli
altri. Per questo occorre essere preparati a riconoscere Gesù Cristo, il
Signore, davanti agli uomini: ciò deve essere fatto con mitezza, senza
arroganza e senza vanto, ma anche a caro prezzo. Oggi nel mondo
occidentale non corriamo il rischio della persecuzione, del dover
scegliere la testimonianza a Cristo che provoca una morte violenta, ma
non illudiamoci di essere esenti dalla prova. Ogni volta che
semplicemente arrossiamo nel dirci discepoli o discepole di Gesù, ogni
volta che manchiamo di coraggio nel testimoniare la verità cristiana,
che è sempre a servizio dell’umanizzazione, della giustizia, della pace e
della carità, allora noi scegliamo di non essere riconosciuti da Gesù,
nel giorno del giudizio, davanti al Padre che è nei cieli. Per essere
rinnegatori di Gesù, è sufficiente cedere al “così fan tutti”, al “così
dicon tutti”, all’ignavia pigra di chi non vuole essere disturbato, di
chi teme anche solo di non poter più godere del favore di qualche
potente o di chi conta… Pietro ha rinnegato davanti a una povera serva,
non davanti a un tribunale (cf. Mt 26,69-75 e par.)!
In ogni caso, ci siano oggi di esempio quei cristiani che in Egitto e
in medio oriente scelgono di partecipare alla liturgia sapendo che
rischiano la vita e diventando vittime, in grande numero, di una cieca
violenza anticristiana. Il martirio è ricomparso e oggi ci sono più
martiri cristiani che nei secoli dell’impero romano. È dunque l’ora del
coraggio, del non temere, sapendo che Gesù è accanto a noi nella potenza
dello Spirito santo e lo sarà, come “altro Paraclito” (cf. Gv 14,26),
avvocato per noi davanti al Padre. Coraggio! La paura è la più grande
minaccia alla fede cristiana: essa induce al dubbio e il dubbio al
rinnegamento del Signore e del Vangelo. Se invece nel cristiano c’è
un’umile fiducia, c’è una forza invincibile!
Il vangelo in poche parole