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Assistente Spirituale in Ospedale al tempo del Coronavirus. Un'altra testimonianza significativa di padre Davide Negrini

Assistente Spirituale in Ospedale al tempo del Coronavirus. Un'altra testimonianza significativa di padre Davide Negrini

Padre Davide Negrini, originario della Valmalenco e con un passato da missionario in Messico, nella testimonianza che ha scritto per il sito della sua congregazione e che ci ha inviato, ci racconta la sua esperienza di Assistente Spirituale in un grande ospedale del Nord Italia al tempo della pandemia da Coronavirus. Da www.camilliani.org.

Sono P. Davide Negrini un religioso Camilliano e presto servizio come Assistente Spirituale (Cappellano) presso l’Ospedale Santa Chiara di Trento da ormai più di 4 anni.

Con l’inizio della pandemia del Coronavirus, per una serie di vicissitudini, dei 3 Cappellani presenti in questo ospedale sono rimasto da solo a svolgere giorno e notte questo compito che consiste nell’essere una presenza che si fa Sacramento nell’incontro con il malato, con i suoi familiari e con gli operatori della salute.

Durante il giorno giro nei reparti di degenza e quando chiamano sono pronto a prestare la mia assistenza anche la notte. Fin dall’inizio della pandemia ho potuto girare nei reparti, ovviamente con le dovute precauzioni, per l’incontro con i malati, anche se con il passare del tempo e con l’avanzare dell’emergenza è stato sempre più difficile ma non impossibile.
Sono entrato più volte, su richiesta, nei reparti d’isolamento Covid, ovviamente tutto vestito come un “astronauta”, ed il primo a cui ho impartito il sacramento dell’Unzione degli Infermi è stato P. Angelico, una delle prime vittime del virus in Trentino.

Per impartire le molte Unzione degli Infermi ai malati Covid nelle 5 Rianimazioni evitando di consumare troppi dispositivi di protezione individuali (Dpi), in quanto avrei dovuto vestirmi e svestirmi entrando ed uscendo in ognuna delle rianimazioni, ho adottato questo sistema: rimanendo nella parte “pulita” del reparto passavo un cottonfioc imbevuto di Olio Santo all’infermiere/a che segnava così il malato sulla fronte mentre io da fuori la porta o dietro la parete isolante mi soffermavo a pregare per il malato, per i suoi familiari e per gli operatori della salute impegnati in questa grande missione. Il personale si è dimostrato molto collaborativo, contento ed emozionato nell’essere coinvolto in questo prezioso servizio, tant’è che alcuni, meravigliati, mi dicevano: “Padre, ma lo posso fare io?”, oppure: “Posso dire anche una preghiera?”.

Un sacerdote, docente di Storia della Chiesa, mi ha detto che: “…i missionari Gesuiti, nel 1600 in Cina, non potendo toccare fisicamente le donne, per la cultura del posto, per impartire loro le unzioni sacramentali del Battesimo e degli Infermi, usavano delle aste di legno con il cotone imbevuto di Olio Santo. Tu hai fatto la stessa cosa; solo che al posto delle aste di legno hai usato il braccio e la mano dell’infermiera”.

Mi è stato chiesto se non avessi paura ma io ho risposto che, con le dovute precauzioni, non ho paura. Anzi, penso che sia più rischioso frequentare un supermercato affollato dove non sei protetto e non sai chi incontri. Inoltre, quando ho scelto di entrare nell’Ordine dei Camilliani oltre ai voti di povertà, castità e obbedienza ho accettato anche un quarto voto, che è quello di servirei malati, anche in situazioni che comportano pericolo di vita. Sembrava questo un voto d’altri tempi quando c’era la peste o il colera. Parliamo di un voto istituito da San Camillo alla fine del 1500, tempi in cui tanti religiosi hanno sacrificato la vita nell’assistenza ai malati.

Negli ultimi anni questa cosa sembrava aver perso un po’ del suo significato, invece…

La mia presenza in ospedale, che vuole essere la presenza della Chiesa, penso sia servita come parola d’incoraggiamento, sostegno e preghiera: per il personale, costretto a portarsi dentro una carica emotiva molto grossa (uno mi ha confessato che alla fine del turno, tornando a casa si fa un pianto da solo in macchina per scaricarsi un po’ e per arrivare così in famiglia con una parvenza di “normalità”); una presenza per il malato “Covid”, senza dimenticare i malati “normali” costretti al ricovero in questi giorni e privati della visita dei familiari impossibilitati ad entrare nell’ospedale; una presenza servita anche ai familiari che hanno così saputo che il loro caro non era “solo” in questo momento ma attorniato dalla preghiera, dalla professionalità e dall’amore di molte buone persone.

p. Davide Negrini


09/05/2020 Categoria: Torna all'elenco