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«Dopo il tempo della commozione e della preghiera, viene quello dell’azione». L'editoriale di don Angelo Riva sul Settimanale

«Dopo il tempo della commozione e della preghiera, viene quello dell’azione». L'editoriale di don Angelo Riva sul Settimanale

Riprendiamo da www.settimanalediocesidicomo.it l'editoriale di don Angelo Riva, direttore de “il Settimanale della Diocesi di Como”, sulla morte di don Roberto Malgesini.

Ai piedi del Baradello

Anche Como ha il suo Calvario: il colle Baradello. Impreziosito per ben due volte dal sangue dei martiri. La prima volta diciassette secoli fa, e furono alcuni soldati romani a imporporarne il terreno. Martirio in odium fidei. Svettante dalla cima del colle verso il cielo. Nel 2020 è toccato a un silenzioso operaio del vangelo, germoglio scelto della generosa gente di Valtellina. Martirio della misericordia. Stavolta alle falde del colle Baradello, curvato su polvere e fango della terra. Da Carpoforo fino a don Roberto, si rinnova così il mistero dell’agnello sgozzato dai lupi e vivente nella gloria. Pio pellicano, che sanguina per nutrire i suoi piccoli. Cujus una stilla, mundum salvum facere.

Dopo il tempo della commozione e della preghiera, viene però quello dell’azione. Diversamente don Roberto sarà morto invano. Non vorremmo infatti che si avverasse il detto: «Chi muore giace, e chi vive si dà pace». Il lutto cittadino è stato gesto squisito e garbato, come pure l’ammirevole concorso dell’intera città per restituire a don Roberto la dignità profanata dalla mano omicida. Ma non ce ne facciamo niente, se poi, riposti i gonfaloni, tutto ritorna come prima.

Don Roberto ha lottato a mani nude contro uno dei problemi nodali del nostro tempo: quello della marginalità e dell’esclusione, reso ancor più rovente dalle migrazioni.

Quanto la città lo ha sostenuto? O piuttosto ignorato, se non contrastato?

La domanda è in capo anzitutto alle comunità cristiane, alla rete delle parrocchie, ma non di meno all’autorità politica e alla cittadinanza tutta. Scansarla, dopo i giorni del cordoglio e dell’ammirazione, sarebbe pura ipocrisia. Ovviamente sono tante, e complesse, le sfaccettature del problema. Senz’altro c’è una questione di legalità e sicurezza, perché non esiste che decreti di espulsione restino lettera morta, né che soggetti pericolosi circolino senza controllo, né che il flusso migratorio possa avvenire senza regole e filtri. Ma in attesa di affrontare temi così complessi, risolvibili solo in chiave nazionale e internazionale, non potremmo noi cominciare da una cosa nostra, locale? Trovare finalmente un tetto per le decine di «invisibili» che vagano come spettri (e lordano anche, stavolta visibilmente) nella nostra città; e sotto questo tetto convocare e responsabilizzare le migliori energie solidali e fraterne della città di Como, coinvolgendole in un progetto condiviso di tutela della dignità umana. Grosso modo quel clima di sinergia e collaborazione che si è respirato nei giorni dei funerali di don Roberto. Ma che rischia appunto di evaporare in fretta, lasciando sul campo i problemi di sempre (con un operaio in meno). E’ ovvio che l’appello scuote anzitutto le autorità politiche, a cui spetta di promuovere il concorso di tutti al bene comune. E pazienza (o per fortuna, dipende dai passaporti partitici) se dovesse andare in giro l’immagine di Como come città che non chiude, ma apre spazi di accoglienza e di dignità umana. Non si tratta solo di decoro urbano, ma di far sì che l’estremo sacrificio di un nostro figlio non finisca in niente. Quest’anno, causa Covid, non c’è stato il Palio del Baradello. Abbiamo l’occasione di ritrovarci tutti a giocarci un altro palio: quello della «solidarietà nuovo nome della pace. Perché o ci salviamo tutti insieme, o tutti insieme ci danneremo» (vescovo Oscar). Dimentichiamo le sterili polemiche, guardiamo avanti insieme. Don Roberto non sarà morto invano.

don Angelo Riva, direttore de il Settimanale della Diocesi di Como

26/09/2020 Categoria: Torna all'elenco