"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 6,1-6
Mc 6,1 Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
2Giunto il
sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando,
rimanevano stupiti e dicevano: "Da dove gli vengono queste cose? E che
sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti
dalle sue mani?
3Non è
costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di
Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?".
Ed era per loro motivo di scandalo.
4Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".
5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
6E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.
La
visita di Gesù nella sua patria è un avvenimento penoso che
riprende il tema della mancanza di fede del popolo ebraico già
sottolineata nell’insegnamento delle parabole e nella discussione
su Beelzebùl.
I
parenti di Gesù prima (cf. Mc 3,21.31–32), e la gente di Nazaret
poi, tentano di impadronirsi di lui per impedirgli di illudersi e di
nuocere agli altri, ma egli non accetta di lasciarsi circoscrivere
entro i legami naturali. Ormai i legami umani si definiscono in
rapporto a lui e non viceversa: i «suoi» sono coloro che vivono con
lui, ascoltano la sua voce e fanno la volontà del Padre.
Gli
abitanti del suo paese credono di conoscere Gesù meglio di chiunque
altro. L’hanno visto crescere ed esercitare il suo mestiere.
Incontrano ogni giorno sua madre e i membri della sua famiglia di cui
conoscono nomi, vita e miracoli. Di fronte a lui si sentono turbati,
imbarazzati, irritati. Rifiutano di lasciar mettere in discussione il
loro piccolo mondo e la valutazione che si erano fatta sulla sua
persona. Si fa fatica a cambiare parere e a ricredersi: è più
facile e sbrigativo cancellare una persona dalla nostra vita che
l’immagine o il giudizio che ci siamo fatto di lei. Gli abitanti di
Nazaret non sanno aprirsi al Gesù reale, perché restano
caparbiamente attaccati al ritratto che si erano fatto di lui.
L’episodio
va al di là del rifiuto di un piccolo paese della Galilea: prefigura
il rifiuto dell’intero Israele (cfr Gv 1,11). Che un profeta sia
rifiutato dal suo popolo non è una novità: c’è perfino un
proverbio che lo dice. E’ un proverbio nato da una lunga esperienza
che ha accompagnato tutta la storia d’Israele, che trova la sua più
clamorosa dimostrazione nella storia del Figlio di Dio e che
continuerà a ripetersi puntualmente nella storia successiva.
Dio
è dalla parte dei profeti, eppure i profeti sono sempre rifiutati;
gli uomini di Dio, i giusti, sono sistematicamente tolti di mezzo,
salvo poi costruire loro sepolcri e monumenti tardivi (cf. Lc
11,47–48).
«E
non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi
ammalati e li guarì» (v. 5). I miracoli di Gesù sono una risposta
alla sincerità dell’uomo che cerca la verità; non sono il
tentativo di forzare, in ogni modo, il cuore dell’uomo.
Diversamente dagli uomini, Dio non usa la violenza per imporre i
propri diritti. E neppure fa miracoli per permettere agli uomini di
esimersi dal rischio e dalla fatica del credere.
Anche
a Nazaret Gesù ha cercato i malati e i poveri; essi sono il buon
terreno arato dalla sofferenza e irrigato dalle lacrime: il seme
della Parola viene accolto da loro e produce frutto. Nella sua città
purtroppo il bilancio è deludente, ma non fallimentare.
A
Nazaret tutti si sono scandalizzati di Gesù. Tutti gli uomini
inciampano e cadono davanti alla grandezza dell’amore di un Dio che
si fa piccolo e insignificante. Tutti rifiutano un Dio la cui
sapienza è la follia e l’impotenza dell’amore. Noi lo pensiamo e
lo vogliamo diverso. La nostra mancanza di fede è così incredibile
che il Signore stesso se ne meraviglia.
In
Gesù ci troviamo davanti allo scandalo di un Dio fatto carne, che
sottostà alla legge della fatica umana e del bisogno, del lavoro e
del cibo, della veglia e del sonno, della vita e della morte. Lo
vorremmo diverso. Ci piacerebbe condividere le sue caratteristiche
divine, ma non ci piace che egli condivida le nostre prerogative
umane, delle quali volentieri faremmo a meno.
Il
cristiano e la Chiesa devono sempre misurarsi sulla carne di Gesù,
venduta per trenta sicli, il prezzo di un asino o di uno schiavo.
La
prima eresia – è e sarà sempre la prima! – non consistette nel
negare la divinità di Cristo, ma nel minimizzare e trascurare
l’umanità di Gesù che nella sua debolezza e stoltezza crocifissa
è la salvezza per tutti. Il cardine della salvezza è la carne
crocifissa e risorta di Cristo.