"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 2,18-22
Mc 2,18I
discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da
lui e gli dissero: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei
farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?".
19Gesù
disse loro: "Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo
sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare.
20Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
21Nessuno
cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il
rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo
diventa peggiore.
22E
nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà
gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!".
Una
festa di nozze è l’occasione classica per darsi all’allegria. Le
nozze diventano così una figura del tempo della salvezza, come
leggiamo anche nel libro di Isaia: «Dio gode con te come lo sposo
con la propria sposa» (62, 5; cf. 61,10). Questa immagine è ancora
più rafforzata dall’applicazione del Cantico dei cantici ai
rapporti tra Dio e la nazione ebraica.
Gesù,
presentandosi come lo Sposo, spiega la sua presenza in terra come il
sopraggiungere del tempo della salvezza in cui si adempie la
beatificante promessa di Dio. In questo tempo di nozze non è
immaginabile che gli invitati facciano digiuno. Fin dal principio la
Chiesa ha compreso questo insegnamento, e nella sua liturgia risuona
l’eco della sua allegrezza: «Ogni giorno tutti insieme
frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti
con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia
di tutto il popolo» (At 2,46–47).
La
risposta di Gesù è chiarissima, però è anche scandalosa per i
discepoli di Giovanni e per i farisei, perché Gesù si presenta come
lo Sposo, richiamandosi ai profeti dell’Antico Testamento: «Nessuno
ti chiamerà più Abbandonata né la tua terra sarà più detta
Devastata, ma tu sarai chiamata Mio Compiacimento e la tua terra
Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà
uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà
il tuo Architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo
Dio gioirà per te» (Is 62,4–5). Gesù si identifica con lo
Sposo–Dio innamorato del suo popolo, evocato dai profeti (cf. Os
2,18; 3,3–5; Ez 16,8–14; Is 54,5–6; ecc.).
I
«giusti» digiunano perché ignorano l’amore gratuito di Dio che
mangia con i peccatori e i non meritevoli. Tutti intenti a meritare
l’amore di Dio con le loro opere, non si accorgono che l’amore
meritato non è né gratuito né amore; se ne escludono proprio con
il loro sforzo per conquistarlo.
Questo
brano ci fa fare un passo in avanti rispetto al brano precedente: il
nostro mangiare da peccatori perdonati con il Signore non è un
banchetto qualunque, è un pranzo di nozze. Questa è la gioia
inesprimibile che nessuno avrebbe osato sperare: in Gesù si
celebrano le nozze di Dio con l’umanità. Lui si è unito a noi per
unirci a sé. Si è fatto come noi per farci come lui. «Dio si è
fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio» (s. Ireneo). Ora i due
vivono in comunione e intimità di vita, formano una carne sola e
hanno un unico Spirito.
«Il
principale motivo della venuta del Signore è quello di rivelare
l’amore di Dio per noi e di inculcarcelo profondamente… Cristo è
venuto soprattutto perché l’uomo sappia quanto è amato da Dio»
(s. Agostino). Dalle prime pagine della Bibbia fino alle ultime, Dio
si presenta come il nostro unico interlocutore, il nostro Sposo
geloso. Il rapporto donna–uomo è figura del rapporto uomo–Dio.
Egli ci ama di un amore eterno. Il vero cristiano è colui che ha
conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per lui (1Gv 4,16) e dice
il suo sì matrimoniale a Colui che da sempre gli ha detto sì, e
vive nella gioia dell’unione sponsale con lui. Se nel passato
digiunava nell’attesa dello Sposo, ora gode della sua presenza e
celebra il pranzo delle nozze. Anche lui conoscerà il digiuno (v.
20) nei giorni in cui lo Sposo gli sarà strappato con violenza nella
morte di croce.
Il
discepolo è unito al suo Signore come la sposa allo sposo. L’altra
parte dell’uomo, la costola che gli manca e che freneticamente
cerca e ricerca, è Dio. Questo mistero è grande (Ef 5,32): è il
più grande mistero dell’universo. L’amore nuziale è il più bel
modo di esprimere il nostro amore con Dio. Con la venuta di Gesù si
compie la promessa di Dio alla sposa infedele: «Ti farò mia sposa
per sempre… e tu conoscerai (=amerai) il Signore (Os 2,21–22).
Chiamandosi
sposo, Dio ci ha dato la più bella presentazione di sé e di noi.
Sposo e sposa sono due termini relativi, dei quali l’uno non può
stare senza l’altro. Colui che liberamente ci ha creati,
necessariamente ci ama di amore eterno (Ger 31,3) e ci comanda:
«Amami con tutto il cuore» (cf. Dt 6,4), perché anch’io ti amo e
non posso non amarti.
L’Amore
vuole essere liberamente amato. La grandezza dell’uomo è amare
Dio. E uno diventa ciò che ama. Lo stesso amore che ha fatto
diventare Dio uomo, fa diventare l’uomo Dio.
Con
le parabole del nuovo e del vecchio (vv. 21–22), Gesù individua
una prima fondamentale resistenza nei confronti del suo messaggio. Si
può rifiutare la conversione evangelica in nome dell’equilibrio,
della saggezza, del buon senso, della tradizione, del «si è sempre
fatto così»: valori più che sufficienti per mettere in pace la
coscienza. Tutte queste cose significano attaccamento al proprio
schema e rifiuto di rinnovarsi: esattamente il contrario del
«convertitevi e credete nel vangelo» (1,15).
Gesù
Cristo è stoffa nuova, vino nuovo. Non si può appiccicare Cristo e
il suo vangelo su una mentalità vecchia, su un modo vecchio di
vivere: si perderebbe la tranquillità di prima senza acquistare la
gioia della conversione.
La
venuta dello Sposo rinnova a tal punto l’uomo, che egli non può
pensare di adattarsi in qualche maniera a questa radicale novità.
Aprirsi ad essa significa accettare che tutto ciò che è vecchio
crolli per far posto al nuovo. Tutte le religioni, compresa quella
ebraica, e le comunità dei discepoli di Giovanni Battista, sono otri
vecchi, incapaci di contenere il vino nuovo che è la vita nuova in
Cristo, lo Spirito Santo, l’amore stesso di Dio, la vita di Dio. Il
cuore di pietra era l’otre vecchio per la lettera che uccide; il
cuore di carne è l’otre nuovo per lo Spirito che dà la vita (cfr
2Cor 3,6).