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"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 10,13-16

 Mc 10,13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso". 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

C’è ancora una completa divergenza tra Gesù e i discepoli nell’idea che si fanno della sua missione. Devono imparare che il regno di Dio non è in mano alle persone che contano, che le preferenze di Dio sono rivolte a coloro che sono considerati insignificanti, come i bambini, a coloro che sanno attendere e accogliere tutto da lui, senza pretese, alla maniera dei piccoli. La reazione violenta di Gesù (si indignò), dà ragione all’ardire dei bambini e dei loro genitori e torto all’ottusità dei discepoli.

«Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite». Questa frase ci richiama l’altra: «Chi scandalizza (impedisce, mette ostacolo) uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42). Questo riferimento spiega ulteriormente l’indignazione di Gesù verso i discepoli: aveva appena finito la lezione ed essi dimostrano con i fatti che, ancora una volta, non avevano capito o non avevano voluto capire niente.

«Perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio». Soltanto i bambini sono in grado di chiamare Dio «Abbà», «Papà», «Babbo» con fiducia infantile e sentirsi al sicuro sotto la sua protezione, consci del suo illimitato amore. I bambini quindi sono quelli di ogni età che sentono in questo modo nei confronti di Dio e vivono «l’infanzia spirituale».

«E prendendoli tra le braccia e ponendo le mani sopra di loro, li benediceva». L’umanità di Gesù è autentica, profonda e senza artifici. Nel suo modo di fare rivela un cuore delicato, sensibile e incline alla bontà.

Il vero discepolo è colui che sa di non possedere nulla e di ricevere tutto dal Padre, come un bambino. E’ totalmente dipendente da Dio. E ciò non solo non gli dispiace, ma lo fa totalmente felice.

Il Regno non è un prodotto da costruire, ma un dono da accogliere, che c’è già. E’ Gesù, il Figlio nel quale anche noi diventiamo figli del Padre e fratelli di tutti.

Nell’Antico Testamento viene lodata la fedeltà coniugale (Pr 5,15–20), e il divorzio è considerato riprovevole, sebbene in alcuni casi venisse tollerato «per la durezza di cuore». Il legislatore non solo pone limiti al divorzio, ma cerca di renderne difficile l’attuazione: la dote pagata ai familiari della sposa non viene restituita, e se l’uomo voleva contrarre nuove nozze doveva sobbarcarsi l’onere di un nuovo contributo.

I profeti cercano di limitare la possibilità di ripudio della sposa ai casi di adulterio (Os 2,4; Ger 3,8). Malachia è colui che difende con maggiore chiarezza l’indissolubilità del vincolo matrimoniale: Dio in persona, per mezzo del matrimonio, fa dell’uomo e della donna una carne sola, una sola vita; l’uomo che ripudia la propria moglie si carica di una grande responsabilità davanti a Dio che detesta il ripudio (Ml 2,14–16). Tuttavia, l’insegnamento positivo dell’assoluta indissolubilità del matrimonio lo troviamo solo nel Nuovo Testamento.

Gesù indica Gen 1,27 e 2,24 come la ragione per la quale il matrimonio è indissolubile. Egli si richiama alla volontà del creatore: il Dio unico crea l’uomo a sua immagine, fondando l’unità indissolubile del matrimonio. E’ Dio stesso che unisce l’uomo e la donna. La sua parola creatrice opera la «congiunzione» dei sessi. Così dunque la posizione di Gesù è senza ambiguità: rifiutando decisamente la poligamia, condanna contemporaneamente il divorzio seguito da seconde nozze, qualunque ne sia il motivo, fondandosi sui valori originari dell’unione coniugale indissolubile. Così le interpretazioni rabbiniche si trovano definitivamente scavalcate nel senso già indicato dal profeta Malachia, per il quale ripudiare la propria moglie equivale a rompere l’alleanza di Dio col suo popolo, perché questa si incarna nell’unione degli sposi (Ml 2,13–16). Gesù non è venuto per abolire la Legge e i Profeti, ma per dare compimento (Mt 5,17).

Con il dono del suo Spirito, Gesù ci libera dalla durezza di cuore e ci rende nuovamente capaci di vivere ciò che era «in principio». Il discepolo scopre in Gesù la vera dignità dell’uomo: essere partner di Dio che lo ama infinitamente. Egli vive il matrimonio come immagine di questo grande mistero.

Presso molti popoli, anche ai nostri giorni, l’uomo acquista la donna comprandola dalla sua famiglia; essa diventa sua proprietà che può abbandonare quando non gli serve più. Chiaramente questo tipo di rapporto fondato sul possesso non è secondo il disegno di Dio, perché il rapporto tra Dio e l’umanità, di cui il matrimonio è segno o sacramento, è un rapporto di amore, non di possesso. L’uomo può possedere le cose e gli animali, non un altro uomo.

Al di là della forma, anche presso di noi il matrimonio è spesso un possesso, una compravendita di mutue relazioni, una prostituzione reciproca. Il matrimonio, invece che amore e servizio, diventa egoismo e sopraffazione. Si sta insieme finché dura l’interesse del più forte. Quando cessa l’interesse, ossia l’egoismo, l’uso dell’altro, la strumentalizzazione, cessa tutto. Tutto questo succede perché l’uomo e la donna sono malati di durezza di cuore. Il cuore dell’uomo è indurito, è egoista, non è capace di amare: questo è il suo peccato, il suo fallimento a tutti i livelli. Solo con Cristo, la creazione raggiunge il suo fine: torna ad essere come Dio l’ha pensata fin dall’inizio. Anche il matrimonio trova il suo significato esclusivamente in Cristo. Fuori di lui non esiste nulla e nulla ha senso (cf. Ef 1,4; Col 1,16–17).

20/01/2019 Categoria: Torna all'elenco