Si va verso la ripresa di tutte le
attività ma con molte incertezze e qualche diffusa paura. Non hai anche
tu la sensazione che a furia di rivendicare la nostra privacy abbiamo
finito per restare soli anche quando avremmo bisogno di compagnia? Gigi
Caro Gigi, il tempo che stiamo vivendo è caratterizzato da
incertezza, paura e smarrimento per un futuro ancora troppo segnato da
precarietà. L’esperienza della pandemia ci ha resi tutti un po’ più
fragili e consapevoli della nostra vulnerabilità per il crollo delle
nostre illusioni di onnipotenza.
Il rischio di dimenticare
Abbiamo anche sperimentato la bellezza di una solidarietà che
sembrava aver sconfitto l’individualismo dilagante e aperto vie di una
prossimità concreta, fatta di piccoli e grandi gesti di cura e
vicinanza. Con la ripresa delle attività e del quotidiano, lentamente si sta dimenticando ciò che abbiamo vissuto,
la sofferenza che ci ha ferito, i gesti di generosità che abbiamo
ricevuto e donato, per ritornare alle modalità relazionali chiuse e
autoreferenziali. Sembra che l’esperienza vissuta non ci abbia cambiato.
Inoltre, la chiusura nelle nostre case per la pandemia ha rafforzato
la tendenza alla privacy che esclude i nostri fratelli in umanità.
Questa diffusa incertezza, che ci vede tutti un po’ più soli a
combattere la vita con le sue fatiche e contraddizioni, rischia di
accentuare la spinta alla chiusura;
la solitudine un po’ difensiva ci
rende tutti più chiusi nei nostri piccoli spazi di sicurezza illudendoci
di salvarci da soli, dimenticandoci degli altri.
La storia ci sta invece mostrando l’urgenza di unire le forze, di
rinnovare la solidarietà che abbiamo visto e sperimentato perché solo
unendoci potremo affrontare la crisi e uscirne in maniera definitiva.
La solidarietà necessaria, per chi ha fede soprattutto
I flussi migratori, la pandemia che affligge i paesi, la
disoccupazione diffusa e la crisi economica globale, ci dicono che non
possiamo più pensarci come tanti piccoli satelliti isolati, ma come un
mondo unito che affronta insieme le sfide della storia.
Se tutto questo è vero per ogni uomo, diventa ancora più urgente per i credenti in Cristo Gesù, chiamati ad essere fratelli e custodi della vita dell’altro,
ad avere il cuore aperto sull’umanità. La fede in Lui orienta con
rispetto la coscienza e la storia di ogni persona e di ogni società
umana e non può essere ridotta a una sfera soggettiva.
La pandemia ci ha fatto fare esperienza di quanto abbiamo bisogno gli
uni degli altri, della necessità di creare reti solidali tra famiglie e
comunità per uscire dall’ isolamento. È necessario continuare a fare
piccoli passi di apertura, di incontro verso l’altro, fondando i
rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là
delle differenze e dei limiti e spinge a cercare insieme il bene. Il
comandamento dell’amore che il Signore ci ha lasciato si vive nei gesti
concreti quotidiani,
non nelle idee o nelle belle
riflessioni, ma nel prendersi a cuore la “carne del fratello” per creare
una cultura dell’incontro e della relazione.
Noi nasciamo da un incontro, da una relazione; percepiamo di non
bastare a noi stessi e scopriamo in ogni istante che la risposta
efficace al nostro compimento e pienezza non risiede in noi, ma nella
nostra capacità di rapportarci con l’altro.
Dare e ricevere
Noi siamo fatti per l’incontro con l’altro e per la comunione,
altrimenti la vita rimane impoverita. Vivere pienamente la relazione che
segna alla radice il nostro essere, ci rende uomini e donne capaci di
vivere l’incontro anzi, in qualche modo, capaci di “essere incontro”.
Questo implica la scelta consapevole di aprirsi al dono di sé, ma
insieme anche la disponibilità ad accogliere il dono dell’altro, non
soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri. Dunque, un dare e
ricevere segnato dalla gratuità reciproca, che garantisce l’autenticità
dell’incontro interpersonale.
Papa Francesco più volte ci ha esortato a promuovere
la cultura della relazione e dell’incontro per uscire dalla tentazione
dell’individualismo e della chiusura e ci ha invitato a recuperare uno
spirito contemplativo. La consapevolezza di essere amati per primi da
Gesù e l’esperienza di essere salvati da Lui ci permette di scoprire che
siamo depositari e portatori di un bene che umanizza e ci fa
“raccogliere
la sfida di scoprire e trasmettere la mistica di vivere insieme, di
lasciarci ferire dal grido dei fratelli, dalle piaghe incise nella loro
vita. Significa incontrarci, prenderci in braccio, sostenerci,
partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una
autentica esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un
santo pellegrinaggio.”