Papa Francesco ha detto che il silenzio è la lingua di Dio. In che senso, secondo te? Angelo
In diverse occasioni papa Francesco ha parlato del silenzio, caro
Angelo, contrapponendolo soprattutto al chiacchiericcio, che ha il
potere di “gettare bombe” sui nostri fratelli e di uccidere la loro
dignità. Il vescovo di Roma, infatti, ha evidenziato che le parole
possono essere baci o coltelli, cioè esprimere affetto, comprensione,
vicinanza oppure esattamente il contrario: “Il silenzio è anche la
lingua di Dio ed è anche il linguaggio dell’amore, come sant’Agostino
scrive: «Se taci, taci per amore, se parli, parla per amore». (…) Si
parte dal silenzio e si arriva alla carità verso gli altri”.
Dio si rivela nel silenzio
Il Signore rivela sempre la sua Parola nel silenzio; ma c’è di più: è
il silenzio, come dice papa Francesco, il linguaggio attraverso il
quale Egli rivela il suo amore e la sua tenerezza.
In che senso il silenzio è il linguaggio di Dio? E quale relazione con la parola?
Abbiamo da poco concluso il tempo di Natale nel quale abbiamo
contemplato la Parola fatta carne in Gesù. Non sono esperta in teologia,
ma intuisco che in Dio, la Parola nasce da un silenzio talmente gravido
di vita da essere generativo e creativo.
Celebre è la poesia di Turoldo, là dove canta:
“Mentre il silenzio fasciava la terra
e la notte era a metà del suo corso,
tu sei disceso, o Verbo di Dio,
in solitudine e più alto silenzio.
La creazione ti grida in silenzio,
la profezia da sempre ti annuncia,
ma il mistero ha ora una voce,
al tuo vagito il silenzio è più fondo”.
Ciò avviene per partecipazione anche nell’uomo e nella donna, fatti a
immagine e somiglianza di Lui: il silenzio del cuore, abitato dallo
Spirito santo, permette, paradossalmente, di “uscire da sè”, senza
dissipazione e dispersione, per entrare in relazione con i fratelli e
dire parole che donano e generano vita.
Le parole come coltelli
L’alternativa sono parole vuote, sterili o peggio, come dice il
vescovo di Roma, mortifere, spesso frutto di un’interiorità dissipata e
frantumata, incapace di ascoltare la vita, i fratelli, le sorelle, Dio.
In questo caso le nostre parole possono divenire simili a coltelli che
feriscono i nostri fratelli, creando conflitti. Quante volte ne abbiamo
fatto esperienza! Non per nulla l’apostolo Giacomo nella sua lettera
afferma: “La lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose.
(….) Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli
uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono
benedizione e maledizione” (Gc 3, 5.9-10).
Perché la nostra parola sia fonte di vita in noi stessi e nei nostri
fratelli, quindi, deve sgorgare da un cuore puro, unificato e
pacificato, abitato dallo Spirito, da un’interiorità custodita dalla
grazia del Signore, custode a sua volta del silenzio di Dio.
Esso è dunque necessario per ascoltare i nostri fratelli, per entrare
in empatia con la vita che ci circonda e con la realtà dove viviamo,
per percepire i gemiti dell’umanità, il grido della terra, il pianto dei
dimenticati e dei diseredati, il linguaggio della creazione e
dell’universo, disponibili a servire.
Comprendiamo bene, allora, come il silenzio non sia primariamente
assenza di parole, né sterile mutismo (celebre il proverbio: “Chi tace,
non dice niente”), ma comunione con la Parola! Ci è di grande esempio la
Madre di Dio, che – ci dicono i Vangeli – “da parte sua, custodiva
tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Ascoltare, custodire e
meditare sono tre verbi che, se lo vogliamo, possono trasformare la
nostra piccola storia elevandola alla misura alta dell’Amore, della
condivisione, della fraternità, della santità.
Auguriamocelo vicendevolmente all’inizio di questo nuovo anno.