Con l’entrata di Gesù nella gloria del Padre è cambiato qualcosa sulla terra?
Esteriormente nulla. La vita degli
uomini ha continuato ad essere quella di prima: seminare e mietere,
commerciare, costruire case, viaggiare, piangere e fare festa, tutto
come prima. Anche gli apostoli non hanno ricevuto alcuno sconto sui
drammi e le angosce sperimentati dagli altri uomini. Tuttavia qualcosa
di incredibilmente nuovo è accaduto: sull’esistenza dell’uomo è stata proiettata una luce nuova.
In un giorno di nebbia, improvvisamente
compare il sole. Le montagne, il mare, i campi, gli alberi del bosco, i
profumi dei fiori, il canto degli uccelli rimangono gli stessi, ma
diverso è il modo di vederli e di percepirli.
Accade anche a chi è illuminato dalla
fede in Gesù asceso al cielo: vede il mondo con occhi rinnovati. Tutto
acquista un senso, nulla rattrista, nulla più spaventa.
Oltre le sventure, le fatalità, le miserie, gli errori dell’uomo s’intravede sempre il Signore che costruisce il suo regno.
Un esempio di questa prospettiva
completamente nuova potrebbe essere il modo di considerare gli anni
della vita. Tutti conosciamo, e forse sorridiamo, degli ottantenni che
invidiano chi ha meno anni di loro, si vergognano della loro età…
insomma, volgono lo sguardo al passato, non al futuro. La certezza
dell’Ascensione capovolge questa prospettiva. Mentre trascorrono gli
anni, il cristiano è soddisfatto perché vede avvicinarsi il giorno
dell’incontro definitivo con Cristo; è lieto di essere vissuto, non
invidia i più giovani, li guarda con tenerezza.
Matteo non descrive l’ascensione di Gesù
come fanno gli Atti degli Apostoli, ma, servendosi di immagini diverse,
propone il medesimo messaggio.
A differenza di Luca e Giovanni, egli
colloca l’incontro con il Risorto non a Gerusalemme ma in Galilea.
Questa ambientazione geografica ha un valore teologico: l’evangelista
vuole affermare che la missione degli apostoli inizia là dov’era
cominciata quella del loro Maestro.
La Galilea era una regione
disprezzata. A causa delle frequenti invasioni dal nord e dall’est, era
abitata da una popolazione eterogenea, derivata da una mescolanza di
razze. Isaia la designa come “il territorio dei Gentili”, cioè, dei
pagani (Is 9,1) e i giudei ortodossi la guardavano con sospetto e
diffidenza. A Nicodemo che timidamente cercava di difendere Gesù, i
farisei di Gerusalemme obiettarono: “Studia e vedrai che non sorge
profeta dalla Galilea” (Gv 7,52).
È proprio a questi semi-pagani – vuole
dire Matteo – che ora è destinato il vangelo. Gerusalemme, la città che
ha rifiutato il messia di Dio, ha perso il suo privilegio di essere il
centro spirituale di Israele.
L’incontro del Risorto con i discepoli avviene sul monte (v. 16).
Commentando il vangelo della seconda
domenica di Quaresima abbiamo chiarito il significato biblico del monte:
era il luogo delle manifestazioni di Dio; in cima al monte egli si era
manifestato a Mosè ed Elia.
Matteo impiega spesso questa immagine:
colloca Gesù sul monte ogni volta che insegna o compie qualche gesto
particolarmente importante.
Se si tiene presente questo fatto, si
comprende il significato della scena narrata nel brano di oggi: l’invio
dei discepoli nel mondo è un avvenimento decisivo. Non solo, ma è
abilitato a svolgere questa missione solo chi, sul monte, ha fatto
l’esperienza del Risorto e ha assimilato il suo messaggio.
L’annotazione che “alcuni degli apostoli
ancora dubitavano” (v. 17) è sorprendente. Come potevano avere ancora
dei dubbi se avevano già incontrato il Risorto a Gerusalemme il giorno
di Pasqua?
Dal punto di vista della catechesi,
questo particolare è indicativo. Per Matteo la comunità cristiana non è
composta da gente perfetta, ma da persone in cui continuano ad essere
presenti il bene e il male, la luce e la tenebra. Fra i primi discepoli
riscontriamo questa situazione: hanno fede, ma permangono ancora dubbi e
incertezze.
È possibile credere in Cristo ed avere
dubbi. Impossibile è il contrario: non può esistere la fede assieme
all’evidenza. Non si può “credere” che il sole esista: c’è la certezza,
lo si può vedere, sono scientificamente verificabili gli effetti della
sua luce e del suo calore. Nel campo della fede questa evidenza è
impossibile. Come gli apostoli, anche noi abbiamo la convinzione
profonda della verità della risurrezione di Cristo, ma non la si può
dimostrare.
Nella seconda parte del brano (vv. 18-20) c’è l’invio degli apostoli ad evangelizzare il mondo intero.
Durante la sua vita pubblica, Gesù li
aveva mandati ad annunciare il regno dei cieli con queste istruzioni:
“Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani;
rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt
10,5-6). Dopo la Pasqua la loro missione si amplia, diviene universale.
La luce si era accesa in Galilea quando
Gesù, lasciata Nazaret, si era stabilito a Cafarnao. Il popolo immerso
nelle tenebre aveva visto una grande luce; su quelli che dimoravano in
terra e ombra di morte, una luce si era levata (Mt 4,16). Ora la sua
luce deve splendere in tutto il mondo. Come hanno annunciato i profeti,
Israele diviene “luce delle genti” (Is 42,6).
Il momento è decisivo e Gesù si richiama
alla sua autorità: è stato inviato dal Padre a portare il messaggio
della salvezza; ora egli affida questo compito alla comunità dei
discepoli, conferendo loro i suoi stessi poteri.
La chiesa è chiamata a rendere presente
Cristo nel mondo. Mediante il battesimo genera nuovi figli che vengono
inseriti nella comunione di vita della trinità, del Padre, del Figlio e
dello Spirito. Missione sublime, ma ardua; suscita sgomento e
trepidazione in chi è chiamato a svolgerla.
Ogni vocazione è sempre accompagnata dalla paura dell’uomo e da una promessa del Signore che assicura: “Non temere, io sono con te”. A Giacobbe in viaggio verso una terra ignota Dio garantisce: “Io sono con te
e ti proteggerò dovunque andrai, non ti abbandonerò” (Gn 28,15); a
Israele deportato a Babilonia dichiara: “Tu sei prezioso ai miei occhi e
io ti amo. Non temere perché io sono con te” (Is 43,4-5); a
Mosè che obietta: “Chi sono io per andare dal faraone e per fare uscire
gli israeliti dall’Egitto?”, risponde: “Io sarò con te” (Es 3,11-12); a Paolo che a Corinto è tentato di scoraggiarsi, il Signore dice: “Non aver paura, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male” (At 18,9-10).
La promessa del Risorto ai discepoli che stanno per muovere i primi, timidi passi, non può essere diversa: “Ecco, io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Si chiude così,
com’era iniziato, il vangelo di Matteo: con il richiamo all’Emmanuele,
al Dio con noi – nome con il quale il messia era stato annunciato dai profeti (Mt 1,22-23).
Il vangelo in poche parole