La versione liturgica del Vangelo di questa domenica inizia con «In quel tempo».
Si tratta di un’espressione non certo ignota al lessico evangelico (cf.
per esempio Mt 11,25; 12,1; 14,1). Essa non ha nulla da spartire con il
detto latino «in illo tempore», inteso come un’allusione a una
realtà temporale imprecisata e remota. L’operare di Gesù non è
consegnato all’indefinita vaghezza di un «c’era una volta». Con tutto
ciò, la versione liturgica non ci conforma alla lettera del testo
giovanneo; nel quarto Vangelo infatti si legge «il terzo giorno vi fu
una festa di nozze a Cana» (Gv 2,1). Terzo rispetto a che?
Il Vangelo di Giovanni si preoccupa di contrassegnare l’inizio dell’attività pubblica di Gesù
indicando una serie di scansioni temporali. Si comincia descrivendo il
battesimo nel Giordano; «il giorno dopo» (Gv 1,29) il Battista addita
Gesù come agnello di Dio e attesta di aver visto lo Spirito come una
colomba scendere e rimanere su di lui; «il giorno dopo» (Gv 1,35)
avviene l’incontro con i primi discepoli; «il giorno dopo» (Gv 1,43) c’è
la chiamata di Filippo e di Natanaele; infine tre giorni dopo le nozze
di Cana.
«In principio» (Gen 11,1; Gv,1,1) dell’attività pubblica di Gesù si
enumera una settimana, lo si fa quasi per evocare l’inizio della Genesi.
Con la missione di Gesù siamo di fronte a un nuovo inizio.
Alla conclusione del miracolo dell’acqua trasformata in vino
l’affermazione si fa esplicita: «Questo a Cana di Galilea, fu l’inizio
dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i discepoli
credettero in lui» (Gv 2,11).
Il primo di tutti i segni non è compiuto spontaneamente da Gesù,
esso è innescato da una constatazione che, in realtà, è una richiesta:
«Venuto a mancare il vino la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”»
(Gv 2,3). La risposta di Gesù è stata da sempre motivo di imbarazzo per
il tono che suona aspro e poco filiale; tuttavia al suo interno è
contenuta una parola che, da sola, apre un orizzonte: «Donna, che vuoi
da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Nell’interpretazione
della replica del figlio vi è un punto sicuro: l’accostamento con
l’unico altro passo nel quale Gesù, rivolgendosi a sua madre, la chiama
con il termine «donna»: «Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei
il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo
figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”» (Gv 19,26-27). Una
volta giunta l’ora (cf. Gv 7,39; 8,20; 12,27), Gesù dalla croce fonda
una maternità e una figliolanza nuove che non passano attraverso «carne e
sangue».
Nel contesto di nozze posto alla fine della prima settimana vissuta assieme ai suoi discepoli, Gesù preannuncia un nuovo tipo di figliolanza.
A Cana lo sposo e la sposa di cui si celebra il convito nuziale non
compaiono neppure una volta. Quelli che, a tutti gli effetti, avrebbero
dovuto essere i protagonisti è come se non ci fossero. Il Vangelo non si
occupa del genere di nozze che rende i due una carne sola (cf. Gen
2,24).
Il vino migliore che lo sposo ha conservato fino a ora è il preannuncio della figliolanza nello Spirito.
Per Giovanni lo sposo autentico è Gesù stesso. Nella sua ultima
testimonianza il Battista avrebbe detto in riferimento a Gesù: «Nessuno
può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo (...) Lo sposo è
colui che appartiene alla sposa» e l’amico dello sposo se ne compiace
(cf. Gv 3,29).
A essere sceso dal cielo su Gesù, ma non su Giovanni Battista, è lo
Spirito che nel momento del compimento sarà consegnato (Gv 19,20) e alla
sera di Pasqua sarà alitato sui discepoli (Gv 20,22). A Cana di Galilea
Gesù inizia un cammino che avrà il suo compimento a Gerusalemme
nell’ora della croce e nel giorno della risurrezione.