Cara sorella, accetto
l’invito della redazione del “santalessandro” e ti scrivo. Posso farti
anch’io l’obiezione che ho sentito ripetere molte volte? Voi vivete nel
vostro mondo, mondo affascinante per tanti versi anche per noi. Ma il
vostro mondo non è il mondo. Qui nel mondo si sta anche bene, spesso. Ma
spesso si soffre, si sta male e talvolta malissimo. In questi mesi
molte famiglie non hanno i soldi per pagarsi il riscaldamento e talvolta
perfino il cibo. Le caritas vedono code di gente che aspetta qualcosa. E
non solo soltanto “i soliti”, ma, da un po’ di tempo, anche gente di
qui chiede la carità perché non ce la fa più. Non è un gran bel Natale,
questo. Lo so che ve l’avranno detto tante volte. Ma lasciate che ve lo
dica anch’io. Stare in convento, in questo frangente, non è in fondo un
privilegio, uno star bene, tutto sommato, mentre tanta gente sta male?
Scusami, cara sorella, la mia sincerità. Ma credo che la tua risposta
non serva solo a me. Grazie comunque e, visto che ci siamo, pregate un
po’ anche per noi.
un lettore del santalessandro
Carissimo lettore, il Signore ti dia pace.
Ti ringrazio per la schiettezza del tuo
scritto che racchiude le domande e i dubbi che tanti fratelli e sorelle
ci rivolgono. Anche tu, da una parte ci provochi e interroghi
sull’utilità della nostra vocazione e dall’altra ci chiedi preghiere
quale segno di fiducia e affidamento.
NOI “CI SIAMO”
Se valutiamo la nostra forma di vita sul
criterio del bisogno, dell’utilità, della visibilità, certamente siamo
concordi nel ritenerla, davanti alle urgenze del tempo presente che tu
elenchi, inutile, fuori dal mondo. Ma occorre alzare lo sguardo e
cambiare prospettiva. Noi ci siamo nel mondo! Questo mondo che non basta abitare, ma occorre amare, portandolo nel cuore.
Occorre “esserci” e noi siamo presenti in questa modalità che ci è
stata” donata” e alla quale noi abbiamo scelto e risposto. Le nostre
sono quelle vite un po’ “sprecate “, come l’unguento prezioso che quella
donna sparse sul corpo di Gesù. Di fronte a quello spreco i commensali
si indignarono. Ma Gesù lodò la donna. Sì, nella Chiesa e per il mondo,
il Signore ha voluto qualcuno che sprecasse le sue esistenze
rinchiudendosi, limitandosi nello spazio, innalzando il profumo della
preghiera per i fratelli, ponendosi come intercessori tra Dio e gli
uomini, abitando e amando la terra e tutto ciò che è umano dal di
dentro.
Noi non siamo migliori degli altri:
combattiamo il cammino della vita come tutti i nostri fratelli e
sorelle. Semplicemente abbiamo accolto e risposto a un dono, a un Amore,
perché di questo si tratta, amore a Dio e alla terra. Condividiamo i
doni che riceviamo, accogliamo le sofferenze e le gioie di tanti. Siamo qui, nel monastero in questa apparente inutilità. Ma ci sforziamo di portare Dio all’umanità e l’umanità a Dio, quel Dio che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito.
PER INDICARE UN “OLTRE”
Ciò che ci ricolma di stupore è vedere come nel nostro tempo apparentemente così senza Dio, così efficiente e autosufficiente,
molti raggiungano i monasteri per chiedere preghiera, ascolto, per
ricevere una parola che ridoni forza e speranza, che parli di quel Dio
escluso dal mondo, ma presente nel cuore di ogni uomo. C’è un
grido di salvezza che sale dall’umanità, che deve essere raccolto: Gesù
Salvatore che oggi celebriamo, ce lo dona gratuitamente. C’è un vuoto
esistenziale che l’efficientismo e il protagonismo non colmano; c’è un
grido di speranza che non può essere soffocato, perché oltre al
soddisfacimento dei legittimi bisogni materiali, c’è un germe di
eternità e di vita divina che mai si può definitivamente far tacere.
E noi continuiamo a rimanere qui per
indicare un’”oltre”, una meta eterna che trascende ogni orizzonte umano e
prolunghiamo il gesto caro a Gesù di accogliere lo spreco di quel
profumo sul suo corpo che continua oggi nella chiesa e nel mondo.