Ho amato, anche se l’ho incontrata solo un paio di volte, Jeanne d’Arc,
piccola sorella libanese dagli occhi grandi e dolci, investita e uccisa
con altre due giovani sorelle da un ragazzo di vent’anni mentre si
recava, per un pellegrinaggio di pace, a piedi, verso un santuario della
Madonna, non lontano da Beirut. Ho amato la semplicità e la radicalità
evangelica di Maria Chiara, un tempo maestra delle novizie ad Amman, in Giordania, e ora Responsabile Generale. Ho amato Alvaro, Paolo e Marco che custodiscono con passione e cura la casa di Nazareth. Ho amato le tante piccole sorelle incontrate alle Tre Fontane a Roma, ognuna ricca di una storia grande quanto il riserbo e il pudore di ciascuna nel raccontarla; i testi di Carlo Carretto e di Arturo Paoli, piccoli fratelli
del Vangelo, che parlavano e scrivevano, il primo dall’eremo di Spello,
il secondo dalle comunità di base latinoamericane, di un Dio carico di
tenerezza e di amore. Ho amato questi uomini e queste donne in tempi –
non distanti dai nostri – nei quali si sosteneva la necessità di una
chiesa “della presenza”, orgogliosa di un’identità da esibire come
giudizio severo sul mondo, pronta alla condanna più che alla
misericordia. Ho avuto invece la fortuna e il dono di incontrare, sulle
strade del mondo – a Betlemme come a Damasco, a Roma come tra le
roulotte itineranti degli zingari – piccoli fratelli e piccole sorelle
posti dentro gli intrecci più quotidiani e ordinari dell’esistenza;
desiderosi solo di “gridare il vangelo con la vita”, preoccupati di
vivere una fedeltà profonda agli uomini del loro tempo e all’ambiente
che Dio ha dato loro da amare. Proprio come Annalena Tonelli, la
volontaria italiana uccisa qualche anno fa in Somalia che, poco prima
del suo martirio, raccontò così la sua scelta: «Partii per l’Africa
decisa a “gridare il Vangelo con la mia vita” sulla scia di Charles de
Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza».
COME LORO
Difficile non riconoscere il dito di Dio dentro queste storie. Il
fondatore che sta alla loro origine – Charles de Foucauld – muore solo,
il 1 dicembre del 1916, in quel deserto in cui si era sentito accolto e
custodito. Solo come aveva vissuto: senza aver accanto discepoli che ne
raccogliessero dalla viva voce la limpida testimonianza evangelica,
senza la compagnia degli amati tuareg ai quali aveva donato tantissimo
convinto di non possedere nient’altro che il Vangelo, senza il conforto
di una mano amica che compisse sulla sua fronte il gesto fraterno da lui
tante volte offerto. Muore solo, ma «il suo seme, caduto a terra
porterà molto frutto perché, come il sangue dei martiri, diventa seme di
una moltitudine di cristiani che riconosceranno nei lineamenti del suo
volto spirituale le tracce del somigliantissimo a Cristo». (Enzo
Bianchi). Ciò che fr. Charles desidera ardentemente da vivo («Quel
che sogno è qualcosa di molto semplice, di non molto numeroso, qualcosa
come quelle piccole semplici comunità dei primi tempi della Chiesa») prende corpo pochissimi anni dopo la sua morte, già all’indomani della pubblicazione – nel 1921 – della biografia scritta da René Bazin, un libro che sulla gioventù francese produce una vera scossa spirituale. Sarà però René Voillaume,
il prete parigino esperto di arabo e di islamistica, autore di un testo
-“Come loro” – di spiritualità sulla vita di fr.Charles che influenzerà
la vita di migliaia di preti, suore e laici a dare forma ad un progetto
audacissimo: contemplativi fuori dai monasteri che soli apparivano
contenere quella separazione e quel silenzio ritenuti necessari al
raggiungimento dello stato contemplativo. L’8 settembre 1933 nella
basilica parigina del Sacro Cuore a Montmartre, insieme a Guy
Champenois, Marcel Boucher, Georges Gorrée e Marc Gerin, Voillaume dava
inizio alla famiglia dei Piccoli fratelli di Gesù, stabilendosi quindi
con i suoi primi confratelli a El-Abiodh, nell’Algeria del Sud, seguendo
le tracce di Charles de Foucauld. Lo storico Maurilio Guasco ricorda
che, su richiesta dello stesso Voillaume, monsignor Giovanni Battista
Montini aveva scritto una prefazione per l’edizione italiana di “Come
loro”, rimasta poi inedita (lo stesso Montini la considerò non
all’altezza delle pagine di Voillaume!) e pubblicata soltanto in anni
recenti.
FRATERNITÀ SPARSE IN TUTTO IL MONDO
Oggi la “famiglia” di Charles de Foucauld è composta da 11 congregazioni diverse,
presenti in tutto il mondo. I vari rami femminili contano
complessivamente oltre 1600 “piccole sorelle”. Quelli maschili circa 600
“piccoli fratelli”. A questi bisogna aggiungere diversi gruppi e
movimenti laicali. All’inizio, i primi seguaci vivono profondamente il
richiamo del deserto del Sahara, in Algeria o Marocco. Succede per i
primi cinque ma anche nel 1936, quando suor Magdaleine si installa a
Boghari, sempre in Algeria, dove nascono le Piccole Sorelle di Gesù. Gli
imprevisti della storia (i fratelli vengono espulsi dall’Algeria perché
favorevoli all’indipendenza del Paese dalla Francia), li obbligano a
fare i conti nuovamente con il messaggio di frère Charles, che li spinge
a farsi “fratelli universali”. Capiscono che è importante non solo il
Sahara ma ogni “deserto” dell’uomo, ogni luogo in cui
il Vangelo è sconosciuto, ogni terra che la Chiesa ha trascurato o non è
riuscita a raggiungere. Da questa riflessione si definisce
compiutamente la convinzione che non esistono più confini geografici. La
vocazione a “gridare il Vangelo sui tetti non con la parola ma con la
vita” diventa davvero universale. Con un obiettivo: essere in ogni
ambiente il lievito che si perde nella pasta per farla lievitare. “Arabi
con gli arabi”, “nomadi con i nomadi”, i piccoli fratelli e le piccole
sorelle avrebbero dovuto adottare la lingua, i costumi e perfino la
mentalità: mettere la carità al di sopra di tutte le regole, spalancare
le porte di casa. Nascono allora le prime fraternità nel mondo fino a
giungere, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, a quelle dei
Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle dell’Incarnazione sorte ad Haiti:
religiosi che vivono con i tagliatori della canna da zucchero, fanno il
loro stesso lavoro in condizioni terribili di povertà e che, quando
emettono la professione religiosa, ricevono come simboli la Sacra
Scrittura e il machete. Uomini e donne che non possono possedere nulla,
che vivono del proprio lavoro, intrecciando contemplazione e servizio,
adorazione del Santissimo e amore verso l’uomo concreto. In modo non
edulcorato, capaci di legare insieme, nell’unica storia di salvezza,
incarnazione e redenzione. Saranno in tanti, dunque, a rispondere alla
contagiosa passione di fratel Charles. Non si preoccuperanno di essere
segno di contraddizione, accusati di mangiare con i pubblicani e i
peccatori. Come dirà sorella Magdaleine di Gesù: «State attente a non
cadere nella grettezza e nell’ottusità, non scandalizzatevi troppo
facilmente per cose di poca importanza. Soprattutto, evitate di essere
rigide o formali e di agire come i farisei. Siate sempre di vedute
larghe poiché la ristrettezza può distruggere il vero amore». La
convinzione che la fede senza l’amore è inutile che l’amore, come
compimento della fede, va espresso il più concretamente possibile,
orienterà la fraternità dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle
nelle direzioni più diverse. Sulla strada di Gesù di Nazareth nascosto
dentro le strade degli uomini. Anche e soprattutto in quelle che
pensiamo Lui non percorra.