"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 9,38-50
Mc 9,38Giovanni
gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo
nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva".
39Ma
Gesù disse: "Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un
miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me:
40chi non è contro di noi è per noi.
41Chiunque
infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete
di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
42Chi
scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto
meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia
gettato nel mare.
43Se la
tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare
nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella
Geènna, nel fuoco inestinguibile.
[44]
45E se
il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare
nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato
nella Geènna. [
46]
47E se
il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te
entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi
essere gettato nella Geènna,
48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.
49Ognuno infatti sarà salato con il fuoco.
50Buona
cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete
sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli
altri".
N.b.: I vv. 44 e 46, che ripetono il v. 48, sono omessi in diversi manoscritti e non sembrano aver fatto parte del testo originale.
Riportando
l’episodio dell’esorcista estraneo al gruppo dei discepoli, il
vangelo ci dà un insegnamento importante. In tutti i tempi, molti
cristiani hanno creduto di avere il monopolio di Gesù e, di
conseguenza, hanno corso il rischio di essere intolleranti. Il primo
dovere di coloro che hanno autorità è quello di non proibire di
fare il bene. Il bene, sotto ogni forma, non è monopolio di chi ha
il potere o dei cristiani rispetto agli altri. Fare il bene,
scacciare i demoni è un diritto e un dovere che compete ad ogni
uomo. Gesù e lo Spirito santo sono presenti ovunque si fa il bene e
quindi anche fuori della comunità visibile della Chiesa.
Dietro
la rimostranza di Giovanni si vede con chiarezza l’egoismo di
gruppo, la paura della concorrenza, che spesso si maschera di fede,
ma in realtà è una delle sue più radicali smentite. Molti, troppi
puntigliosi sostenitori di Dio (?) in realtà sostengono se stessi o
gli interessi del loro gruppo.
Nel
brano precedente del vangelo (Mc 9,33–37) i discepoli si dividevano
tra loro in nome del proprio io. Qui si dividono dagli altri nel nome
del proprio noi. Il proprio nome, individuale o collettivo, è
principio di divisione; solo il «Nome» di Gesù è fattore di unità
tra tutti. L’egoista è vittima dell’invidia, che è figlia
dell’egoismo e madre dell’orgoglio. Essa trasforma la vita in un
inferno perché produce una sofferenza proporzionale al bene
invidiato, fino a una sofferenza infinita davanti al Bene infinito,
Dio. Per questo la Bibbia ci insegna: «La morte è entrata nel mondo
per invidia del diavolo» (Sap 2,24). L’amore è dono, l’invidia,
al contrario, è il voler possedere tutto e tutti, e quindi
distruggere la vita di tutto e di tutti.
Egoismo,
invidia, orgoglio possono essere sia in forma personale che in forma
collettiva. Il peccato originale del singolo è mettere il proprio io
al posto di Dio, il peccato originale del gruppo è mettere al posto
di Dio il proprio noi. La Chiesa non è composta da chi segue noi, ma
da chi segue Cristo, con noi o senza di noi.
La
motivazione portata da Gesù: «Non glielo proibite, perché non c’è
nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa
parlare male di me» (v. 39) non è opportunistica, ma vuol far
capire ai discepoli quanto sia irragionevole il loro atteggiamento.
Egli dà come direttiva alla comunità la tolleranza e la
magnanimità, e vuole che i suoi discepoli abbiano uno spirito
aperto, che si elevi al di sopra della gretta mentalità di gruppo.
Il vero cristiano, che è figlio di Dio, non vede negli altri dei
nemici da combattere, ma dei fratelli da accogliere e da amare.
Gesù
Cristo è presente ovunque si fa qualcosa di buono, dentro o fuori
della Chiesa visibile. Anche un bicchiere d’acqua dato a un povero
cristiano, non resterà senza ricompensa. Questa presenza di Cristo,
anche fuori della Chiesa ufficiale è per la comunità cristiana un
costante richiamo: un richiamo al servizio e alla disponibilità
verso tutti. Cristo ci chiama tutti a uscire con coraggio dalle
nostre situazioni di comodo per incontrarlo in ogni uomo, cattivo o
buono.
Al
tempo di Gesù, c’erano i maestri della legge che con il peso della
loro autorità e con la minaccia delle loro scomuniche (cf. Gv 9,22;
12,42) cercavano di impedire alle persone semplici di seguire Gesù..
Lo scandalo, di cui parla il vangelo, è tutto ciò che impedisce a
qualcuno di seguire Dio per giungere alla salvezza. Per un uomo che
svia gli altri dalla fede in Cristo sarebbe meglio, secondo la parola
di Gesù, che fosse gettato in mare con una grossa pietra attaccata
al collo. Piuttosto che far perdere la fede anche a uno solo, sarebbe
meglio morire. Questa espressione ci richiama le parole pronunciate
da Gesù nei confronti di Giuda: «Meglio sarebbe per lui, se non
fosse nato»(Mc 14,21). Frasi di questo genere non vanno prese come
sentenze di condanna diretta e immediata, ma piuttosto come delle
espressioni che servono a far capire meglio la mostruosità
dell’azione. Nell’applicare queste parole di Gesù, la comunità
cristiana non intese limitarle solo ai bambini, ma a tutti i fedeli
della comunità che venivano tentati a rinunciare alla fede. E’
sempre una cosa estremamente grave mettere in pericolo o distruggere
la fede nel cuore dei semplici.
La
serie di sentenze riguardanti le membra del corpo divenute occasione
di caduta morale, mostra quanto sia radicale l’esigenza di Gesù
dal punto di vista etico. Per lui l’argomento della salvezza è
così grave, che bisogna compiere ogni sforzo per entrare nel regno
di Dio (cf. Lc 13,24). Quando è in gioco la nostra salvezza eterna,
non ci si può accontentare delle mezze misure.
«Il
fuoco inestinguibile» e «il verme che non muore» (v. 48) sono due
modi di dire che si ricollegano all’Antico Testamento (Is 66,24).
Nel testo di Isaia si parla degli uomini giudicati da Dio, i cui
cadaveri ammassati nella valle dell’Hinnon, situata a sud–ovest
di Gerusalemme, sono abbandonati privi di sepoltura alla corruzione
(verme) e al fuoco distruttore. Dal nome della valle di Hinnon (in
ebraico ge–Hinnon) deriva la parola Geenna. Era la discarica di
Gerusalemme.
Il
«non entrare nella vita», il «non entrare nel regno di Dio»
significa il fallimento del fine ultimo della vita, il non entrare
nella vita eterna di Dio: è il fallimento totale dell’esistenza, è
il diventare «rifiuti» da gettare nella discarica per essere
bruciati, perché inutili, ingombranti e maleodoranti.
C’è
qui un invito pressante a scoprire l’assoluta importanza di seguire
Gesù per non perdere irrimediabilmente il dono della vita presente e
futura.
«Ciascuno
sarà salato col fuoco» (v. 49). Il fuoco che sala si riferisce sia
al castigo che punisce i peccatori conservandoli, sia al fuoco che
purifica i fedeli per farne vittime gradite a Dio (cf. Lv 2,13 cui fa
allusione un’aggiunta «e ogni vittima sarà salata col sale»). Il
sale e il fuoco fanno pensare alla purificazione che i discepoli
devono attuare attraverso la persecuzione e la sofferenza. Può
essere una spiritualizzazione di Lv 2,13: similmente ai sacrifici
dell’Antico Testamento, anche il sacrificio di sé dei cristiani
dev’essere salato col fuoco dello Spirito Santo (cf. Mt 18,3; Mc
8,35; Gv 3,5).
«Abbiate
sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (v. 50).
E’ un’allusione alla disputa sulla vera grandezza (9,33–34) che
aveva occasionato tutta questa seconda parte del capitolo. L’amore
fraterno esclude atteggiamenti di rivalità nel servizio del vangelo.
La sapienza di Cristo è principio di pace gli uni con gli altri.