Temo che il parroco di Belsito mi abbia preso come suo
consigliere fisso. Me lo fa pensare il fatto che ad ogni suo problema
pastorale di qualche rilievo fa riferimento a me. La cosa mi sorprende e
mi preoccupa anche un po’, perché, prima di andare in pensione, ho
sempre cercato di fare del mio meglio, ma mi è sempre riuscito di fare
anch’io solo quello che ho potuto.
Ultimamente, il suo problema è quello delle prime Comunioni. Che non è
un piccolo problema come qualcuno potrebbe pensare. È invece
un’occasione in cui è in gioco tanto della fede delle nostre comunità,
delle nostre famiglie, prima ancora di quella dei nostri bambini.
Ne abbiamo parlato un po’. Appassionatamente. Poi, dato che voleva che
gli dessi qualche idea, gli ho promesso che gli avrei mandato una
lettera che avevo mandato anni fa ai genitori della mia parrocchia in
vista delle prime Comunioni. È lui che, dopo averla letta, mi ha
suggerito di pubblicarla. Ho esitato per la ragione detta prima, ma poi,
se può servire, ecco fatto.
Cari genitori,
dei bambini della prima Comunione,
I vostri tesorucci d’oro stanno per fare la prima Comunione, ma
voi già da tempo avete superato, mi pare, il limite di guardia
dell’agitazione. Però è mia impressione che il tilt che state rischiando
non sia dovuto al trepidante pensiero che le vostre creature stanno per
andare incontro nientemeno che al Figlio di Dio. Sbaglio?
La prima osservazione che ritengo di dovervi proporre,
lapalissiana, è proprio questa: che, al di là di tutto, al centro di
quel giorno, “il più bello della vita” (almeno fino a quando tra qualche
anno al vostro eroe comprerete il motorino) ci sta l’incontro
sacramentale con Gesù. Il resto è tutto relativo e secondario.
Non offendetevi se vi richiamo una cosa tanto ovvia; ma non ho
pensato di dirvela dopo aver ricevuto una lettera da un amico che vive
in Australia. Laggiù, secondo lui, in occasione delle prime comunioni
succedono cose turche. Genitori che, mentre i loro bambini si accostano
trepidanti al Signore, stanno semplicemente a guardare, controllando
anche l’orologio per vedere se poi ci sarà tempo per tutto. Altri che in
prima persona si affannano con le telecamere sollecitando ogni tanto
con gli occhi la propria creatura perché si metta bene in posa. Altri
ancora che scambiano il corteo con i bambini per una passerella di
Versace. Tutti, senza distinzione, completamente disattenti alle parole e
ai gesti del sacerdote che, a quanto crede la fede cattolica, sta
rinnovando per loro e per i bambini il mistero di Cristo morto e
risorto.
Questo mio amico non è un credente e si è trovato lì alla
celebrazione perché invitato da un collega come per un matrimonio.
(Laggiù la prima Comunione è infatti una specie di anticipazione della
festa di matrimonio, come bomboniere, regali, parures, ecc., ecc.). Egli
mi scrive di essersi molto meravigliato che i genitori presenti fossero
così indifferenti alle parole del Signore riferite dal sacerdote che
invece avevano assai colpito lui.
«Se qualcuno vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso, si
prenda ogni giorno la sua croce e mi segua». E ancora: «Se qualcuno
viene con me e non ama me più del padre e della madre, dei fratelli e
delle sorelle, anzi, se non mi ama più di se stesso, non può essere mio
discepolo».
Gli venne da pensare che, se quei genitori avessero fatto caso
anche solo minimamente a quelle parole, non si sarebbero precipitati in
massa a propinare la comunione ai loro vezzeggiatissimi bambini ai
quali, da quando sono nati (così si usa in quel paese lontano) fanno di
tutto per evitare anche il più piccolo disagio e la minima difficoltà,
mentre Cristo con il quale li mettevano in comunicazione prometteva loro
soltanto fatica, rinunzie e perfino sofferenza bella e buona. A meno
che, diceva, a loro in fondo la cosa interessasse quanto a lui ateo,
cioè niente del tutto.
Proprio per questo egli giudicava pesantemente l’ipocrisia vera e propria (così la chiamava) di
quella gente che fingeva di credere a quello che facevano i bambini,
ma in realtà lo prendevano come un suggestivo e colorato gioco di
società e nulla più.
«Ma da voi non è così, vero?» mi ha chiesto dopo avermi fatto il suo
racconto. Io ho glissato: «Sai, voi in Australia siete agli antipodi e
quindi le cose vanno sempre un po’ alla rovescia».
«Eh, già!» mi ha risposto poco convinto.
Eh, già! Cari amici, come la mettiamo? Anche da noi la prima
Comunione è ancora un fenomeno di massa; anche da noi guai se il parroco
fa delle difficoltà o complica le cose; mai un solo genitore che,
rendendosi conto che comunicare con Cristo vuol dire lasciarsi anche
mettere in croce, decide di tenere a casa il proprio rampollo; anzi,
tutti i genitori impegnati in una gara appassionata per… mandarli allo sbaraglio con lui. Perché?
Segno che son tutti convinti che servire Dio con Gesù e come Gesù
fino alla morte stessa, se occorresse, è bello come regnare? Per cui il
comunicare con lui, anche se è un evento drammatico, è comunque una
festa grande? Voi che ne dite?
Vi ho scritto la presente appunto perché, voglio essere sincero,
dopo aver parlato con quel mio amico australiano, un tarlo ha cominciato
a rodermi: e se fosse così anche qui? Speriamo di no. Vi voglio
comunque fare una proposta: vogliamo metterci d’accordo e impegnarci a
non inquinare in alcun modo la verità e la santità di quel giorno e a
non imbrogliare i bambini con delle commedie inautentiche alla maniera
degli australiani?
Il vostro parroco
Don Giacomo Panfilo