Mi è capitato recentemente di partecipare
ad una processione di paese. Fiori di carta colorati appesi su tutti i
muri delle case, banda musicale per le vie del paese, gente in chiesa.
Certo, quasi nessun giovane e poche famiglie ma la scena era di quelle
rassicuranti. Come se ne vedono a Natale, a Pasqua e durante il triduo
dei morti. Mentre guardavo tutto questo, mi chiedevo, sommessamente, se
questi non erano i segni ultimi di un mondo che sta irreversibilmente
sgretolandosi sotto i nostri occhi. E che noi, pervicacemente, facciamo
di tutto per non vedere. Anzi, l’impressione – a sentire la predicazione
con cui terminava, in gloria, la giornata – era che i cambiamenti, la
postmodernità, il trapasso epocale che caratterizza il nostro tempo, non
avessero per nulla scalfito la qualità della proposta cristiana.
Lo sguardo tronfio e severo con cui dal pulpito veniva guardato e
giudicato il mondo stava ad indicare un’autosufficienza che, nei nostri
ambienti ecclesiali, è molto più diffusa di quanto si creda.
UN MITO CHE RESISTE
Perché, diciamoci la verità, c’è un mito che resiste. Che la crisi sia passeggera. Che ritornerà il tempo, è questione di poco, in cui tutto sarà come prima:
le chiese di nuovo piene, i giovani ancora con noi. Bisogna aver
pazienza e, soprattutto, tornare a proclamare con chiarezze e forza la
verità e i valori ad essa connessi, in particolare quelli relativi al
dogma e alla morale, sottaciuti alquanto da una certa predicazione e
catechesi “troppo conciliare”. La questione è seria e mette in gioco,
con forza, la qualità della testimonianza cristiana dentro il nostro
tempo. Resto convinto che la questione non stia nel resistere
ostinatamente o di restaurare via via quello che i cambiamenti fanno
crollare, quanto piuttosto quello di ritrovare i valori essenziali e ripartire da lì a costruire, in un’opera di largo respiro e di lungo tempo, una nuova forma di presenza nella storia.
Questo, del resto, mi è sempre parso lo spirito del Concilio, pur in
una giusta preoccupazione di gradualità e nel rispetto della fede dei
semplici. Sono certo che l’attuale cambiamento storico è profondo e non
superficiale; è irreversibile e non provvisorio; e apre una nuova pagina
di storia dell’umanità. Una pagina nella quale è inutile voler copiare
le stesse parole delle pagine precedenti, ma nelle quali è invece
necessario far vivere lo stesso spirito. Ecco perché anziché difendere tante cose secondarie bisogna riscoprire e far rivivere quelle essenziali, e solo quelle.
Come un pellegrino che deve compiere un lungo cammino e che deve
mettere nella sua bisaccia tutte e solo le poche cose essenziali. La
processione, forse. La Parola, la cura liturgica, la passione per la
città, certamente.
LA FEDE NUDA E CRUDA
La domenica successiva ho guidato un gruppo di amici di una parrocchia bergamasca sulla tomba di don Giuseppe Dossetti,
il credente che ha segnato in modo unico la storia del Novecento,
partecipando, da politico e giurista, alla redazione della Costituzione
Italiana e, quindici anni dopo, da prete, segretario del cardinal
Lercaro, alla redazione dei testi del Concilio Vaticano II. L’amico
monaco che ci ha accolto e portato nel piccolo cimitero di Casaglia di
Marzabotto dove don Giuseppe ha voluto essere seppellito ha voluto
leggerci questo testo: «Vivremo sempre di più la nostra fede senza
puntelli, senza presidi di sorta, umanamente parlando. Destinati a vivere in un mondo che richiede la fede pura.
Potremo attingere soltanto alla fede pura, senza poggiare in nessun
modo su argomenti umani. Nessuna ragione, nessun sistema di pensiero,
nessuna organicità culturale, nessuna completezza e forza di pensiero
organico, costruito, potrà presidiare la nostra fede. Sarà fede nuda, pura, fondata solo sulla parola di Dio
considerata interiormente. Non potremo attingere a niente, a nessuna
sintesi, a nessuna summa. E non avremo il conforto in nessuno dei
piccoli nidi sociali che siano omogenei e sostengano la nostra vita
evangelica. Come non lo avremo più nessuno di noi nel nostro Paese.
Quegli ultimi nidi, quelle ultime nicchie “covanti” ed un poco facenti
calore, un certo tepore…sarà molto difficile che si riproducano. E
invano si cercherà di riprodurli. Anzi, ogni tentativo di ricostituire, o
di dar da bere che si può ricostituire una sintesi culturale o una
organicità sociale che presidi e che difenda la fede sarà sempre un
tentativo illusorio, …anche se una certa tentazione è sempre rinascente.
Forse già in questi giorni si cerca di preparare nuovi presidi, nuove
illusionI storiche, nuove aggregazioni che cerchino di ricompattare i
cristiani.Ma i cristiani si ricompattano solo sulla parola di Dio e sull’Evangelo!”